Vittoria dell’UAAR: la libertà di culto è anche libertà di non credere
L’UAAR (Unione Atei e Agnostici Razionalisti), a fronte del rifiuto da parte del Comune di Verona dell’autorizzazione all’affissione di 10 manifesti, in quanto «il contenuto della comunicazione [era] potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione», ha adito il Tribunale di Roma per l’accertamento del carattere discriminatorio del rifiuto e la condanna del Comune alla cessazione della condotta discriminatoria con l’obbligo di pubblicare la sentenza su un quotidiano.
I cartelloni oggetto del rifiuto presentavano la scritta «Dio» con la «D» e la frase «10 milioni di Italiani vivono senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco».
Il Tribunale non ha ravvisato il carattere discriminatorio nel rifiuto del Comune di Verona in quanto lo stesso era collegato «esclusivamente alle modalità grafiche ed espressive dei manifesti». Anche la Corte d’Appello ha confermato quanto statuito dal giudice di primo grado, perché all’appellante non era stato riservato un trattamento differenziato rispetto ad altre associazioni.
L’UAAR, ricorrendo per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale, ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 21 Cost; art. 9 CEDU e dell’art. 43 d.lgs. 286/1998.
Il Supremo Collegio, con la sentenza del 17 aprile 2020, n. 7893/2000 dopo aver ripercorso la normativa nazionale e internazionale, richiamandosi all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in merito alla libertà di culto ex art. 19 Cost. che ha ammesso la libertà di culto in senso negativo (Corte. cost., sent. n. 117 del 1979), ha cassato la pronuncia rinviando alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, sottolineando come debba «essere garantita la pari libertà di ciascuna persona che si riconosca in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza, e anche se si tratta di un credo ateo o agnostico, di professarla liberamente».
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