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Recensione a M. Omizzolo, Per motivi di giustizia

Segnalazioni - Giusy Rosato - 24 Marzo 2023

 

 

 

L’Angelus di Jean-François Millet, un dipinto a olio su tela realizzato nel 1858-59 e conservato al Museo d’Orsay di Parigi, ha sempre rappresentato per me un’icona della sacralità del lavoro dei campi, laddove la natura viene vissuta in rapporto al sentimento religioso. Al suono della campana del villaggio i due contadini, che si trovano nel campo per raccogliere patate, interrompono il lavoro per recitare la preghiera dell’Angelus. Essi lavorano la terra e interagiscono con la natura attraverso un filtro spirituale nel rispetto degli altri esseri e della madre terra.

Quanto lontani da questa sacralità del campo di patate di Millet sono Zi’ Vincenzo, Michele e Tonino Mancino, Balbir, Joty, Harbhajan, Gill, Joban Singh, Akhila, Malhi, Amrinder, Gurjant, Surjeet, Benedetto!!!, protagonisti delle storie raccolte e raccontate da Marco Omizzolo, sociologo Eurispes e docente dell’Università La Sapienza di Roma di sociopolitologia delle migrazioni, con un “difficile passaggio dell’umano all’umano”, come afferma Franco Ferrarotti, nel suo libro Per motivi di giustizia (ed. People, 2022), un vero e proprio compendio di diritto del lavoro, sociologia, antropologia.

A loro non è consentito interrompere il lavoro nei campi o nelle serre, al gelido freddo degli inverni o al torrido caldo delle estati. Questi ultimi della fila, donne e uomini, questi “cafoni”, questi scartati della società sono costretti a rispondere prontamente, senza alcun diritto di replica, agli inderogabili ordini dei nobili feudatari, padri latifondisti della Lucania ieri, di padroni, padrini e caporali nell’Agro pontino oggi e non solo.

Ieri come oggi, lo sfruttamento, le prevaricazioni, i soprusi, le prepotenze, le angherie, le vessazioni costituiscono il lessico principale del dominio, che è “la carta d’identità del potere”, in una felice formulazione di Omizzolo: “è intensamente violento, predatorio, fondato sull’appropriazione di ciò che non gli compete, ossia il lavoro altrui e, mediante esso, della vita del lavoratore e della lavoratrice”. E proprio Omizzolo inviata ad affiancare al diffuso concetto di “caporalato” quello di “padronato” ad indicare un sistema rodato e organizzato che è espressione propria del capitalismo contemporaneo che ancora Omizzolo definisce “predatorio”, cioè capace di violare i diritti del lavoro, quelli umani e ambientali fino a ridefinire antropologicamente gli sfruttati e gli sfruttatori, facendo dei primi scarti o braccia senza corpo, e dei secondi invece dominatori presuntuosamente intoccabili e invincibili.

La violenza perpetrata sui braccianti, migranti e italiani, uomini e donne privati della loro dignità di esseri umani e di diritti fondamentali – il diritto alla parola, alla libertà, al lavoro e alla salute – viene indagata, esplorata, analizzata nelle sua poliedricità da Omizzolo, con lo scrupolo rigoroso del ricercatore, lo sguardo attento del sociologo, la sensibilità profonda e delicata dell’uomo. Questi “compagni di viaggio” sono stati da lui sensibilmente ascoltati, amorevolmente accolti, responsabilmente accompagnati in percorsi di emancipazione, riscatto, affrancamento dall’oppressione.

Attraversando il loro dolore, le loro fatiche, le loro sofferenze, in un viaggio che diventa di capitolo in capitolo sempre più appassionante e coinvolgente, si entra nel vorticoso mondo del bracciantato, caporalato e appunto del padronato, e nei bui meandri delle vite di tanti uomini e donne, considerati troppo spesso solo braccia da sfruttare e corpi da possedere con sprezzante crudeltà da parte di padroni spietati.

Con il suo racconto, Omizzolo riesce a dare senso a ciò che accade, legando singolare e plurale, particolare e universale: per comprendere, valutare, agire. Per non smarrirci. Una “impresa” sociologia e letteraria resa possibile anche dalla prefazione affidata al noto sociologo Ferrarotti e dalle conclusioni invece affidate al collettivo di braccianti indiani Eknur, ossia uguaglianza.

La parola si fa descrizione di scenari raccapriccianti, ricostruzione di fatti orripilanti, testimonianza accorata, denuncia, espressione di solidarietà, conforto.

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