L’algoritmo Frank è cieco, ma il datore di lavoro ci vede benissimo
L’algoritmo di una nota piattaforma di food delivery è discriminatorio: a dirlo è il Tribunale di Bologna con l’ordinanza del 31 dicembre 2020.
La vicenda prende le mosse dal ricorso ex art. 5 d.lgs. 216/2003 presentato da tre organizzazioni sindacali, che hanno chiesto al Tribunale di Bologna di accertare la natura discriminatoria non solo delle condizioni di accesso alle fasce orarie della piattaforma ma, più in generale, di dichiarare la natura discriminatoria della condotta della società, anche alla luce del diritto europeo.
L’organizzazione del lavoro nelle piattaforme di food delivery avviene tramite i c.d. slots (fasce orarie), dove l’algoritmo, in relazione al numero di ordini medio, individua il numero necessario di riders per coprire efficacemente e celermente tutte le consegne.
Si osservano due tipologie di slots, uno libero, ove ognuno si prenota in ordine cronologico sino a esaurimento dei posti per quella determinata fascia oraria, e uno vincolato, ove la precedenza viene data ai riders che si sono mostrati meritevoli in relazione al rating dato dall’utenza e/o in relazione alle statistiche che vengono raccolte dall’algoritmo stesso; solitamente ai soggetti più meritevoli, quelli più “affidabili” secondo l’algoritmo, è riconosciuta la possibilità di accedere in anticipo alla prenotazione degli slots.
È proprio quest’ultima modalità di organizzazione dell’accesso al lavoro a essere ritenuta discriminatoria dalla Giudice bolognese.
Il Tribunale, partendo dal dato che la mancata partecipazione del rider alla sessione prenotata incide negativamente sulle statistiche del rider stesso e in particolare sulla sua affidabilità, ha fatto logicamente discendere la considerazione che il rider che aderisca a uno sciopero, senza preventivamente cancellarsi dallo slot, può subire un trattamento discriminatorio perché rischia di veder peggiorare le proprie statistiche e, di conseguenza, di perdere i vantaggi relativi al proprio rating.
L’algoritmo, inoltre, non fa nessuna distinzione sulla tipologia di assenza del rider che oltre a derivare da motivi sindacali potrebbe essere legata a uno stato di morbilità; è infatti in questo stato di “incoscienza” (secondo le parole della società) e di “cecità” (secondo le organizzazioni sindacali) che risiede la portata discriminatoria dell’algoritmo.
L’ordinanza in oggetto è la prima in Europa ad accertare la natura discriminatoria dell’algoritmo utilizzato da una piattaforma di food delivery. Il fatto che gli algoritmi celino pericoli di discriminazione, invece, è tutt’altro che una novità (ce ne siamo occupati di recente qui)
La pronuncia è degna di nota sotto un ulteriore profilo. La Giudice, dopo aver accertato la natura discriminatoria dell’algoritmo, ha condannato la società non solo a rimuovere gli effetti ma anche al risarcimento del danno non patrimoniale declinato in una accezione polifunzionale proiettata verso più aree, tra cui quella preventiva (deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva. La somma riconosciuta ai ricorrenti di 50mila euro è tra le più alte riconosciute in Italia a titolo di risarcimento in un caso di discriminazione.
La Giudice, in accordo con la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sezioni unite del 15 marzo 2016, n. 5072, ha configurato il danno ex art. 28 d.lgs. 150/2011 come un danno comunitario, il cui risarcimento deve determinarsi in conformità con i canoni di adeguatezza, effettività, proporzionalità, dissuasività, quale danno presunto e con valenza sanzionatoria.
La pronuncia che sia annota si inserisce nel solco già tracciato dalla sentenza del Tribunale di Palermo (che trovate commentata qui) che si caratterizza per una sempre maggiore attenzione alle condizioni di lavoro dei riders.