BLOG

Partner extracomunitario di cittadino italiano e convivenza di fatto

Giurisprudenza - Daniela Lafratta - 18 Maggio 2022

Tribunale di Mantova, ordinanza del 1 aprile 2022, Est. Arrigoni

L’ordinanza in commento si inserisce in un ampio panorama di precedenti conformi. Tuttavia, nonostante le pronunce univoche, nonché le vincolanti sentenze della Corte di Giustizia, di cui si dirà, le amministrazioni locali continuano a negare la trascrizione delle convivenze di fatto tra cittadini italiani ed extra Ue sulla scorta di presupposti puntualmente ritenuti erronei dalla giurisprudenza.

Il caso, che qui ci si accinge a esaminare, prende le mosse da un ricorso di un cittadino italiano che, dopo aver richiesto all’amministrazione comunale competente l’iscrizione anagrafica della partner, cittadina extraue, ha visto dichiararsi irricevibile la richiesta per carenza di iscrizione anagrafica e di valido permesso di soggiorno della convivente.

Per poter meglio comprendere la motivazione dell’ordinanza si rende necessaria una breve premessa normativa. Con la legge n. 76 del 2016 rubricata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il legislatore ha inteso colmare una lacuna dell’ordinamento prevedendo nuove tutele per un ampio ventaglio di situazioni sino ad allora integralmente ignorate.

In tale contesto, si è voluto riservare spazio, anche, alle “convivenze di fatto”, una situazione fattuale da cui da cui discendono effetti giuridici, che necessitano di essere regolati. Cionondimeno, la legge non impone per la sua costituzione alcun adempimento formale, come si può evincere dal combinato disposto dei commi 36 e 37, art. 1, della citata legge. Nello statuire, infatti, che: “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, il disposto ex comma 37 rimanda proprio a tale definizione per l’individuazione dei presupposti affinché detta convivenza appaia rispondente ai requisiti normativi: “ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui  al  decreto  del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”.

Tutto ciò posto, è evidente la volontà del legislatore di prevedere quali unici presupposti fatti, aventi rilevanza giuridica, legati al raggiungimento della maggiore età dei conviventi, alla libertà di essi da altri rapporti (convenzionali di unione o di parentela) ovvero allo stabile legame sentimentale sussistente tra i medesimi. Tace la norma sul possesso di ulteriori requisiti, e tantomeno nulla dice sulla regolarità del soggiorno di uno dei partner qualora sia di cittadinanza extra UE.

Alla luce di tali premesse, non appaiono comprensibili le richieste dell’amministrazione resistente.

Sulla la dichiarazione anagrafica, infatti, ai fini della convivenza di fatto, va, tuttalpiù detto, che essa rappresenta strumento privilegiato di prova e non elemento costitutivo di essa, potendo i conviventi, dimostrare la relazione con “ogni mezzo idoneo[1] Tale ricostruzione logico giuridica trova conforto nell’orientamento della giurisprudenza di merito ormai consolidato, in cui si inserisce il Tribunale di Mantova in commento, che riconosce, all’iscrizione anagrafica, il valore di mezzo di prova della stabile relazione, che è l’unico presupposto indefettibile per la sussistenza della convivenza di fatto.

Parimenti, sul possesso di valido titolo di soggiorno del partner extra UE di cittadino italiano, vanno accolte le considerazioni del medesimo Tribunale che richiama integralmente quanto sostenuto nell’ordinanza della Cassazione n. 3210/2011. Rilevava infatti il collegio che: “Al cittadino di un paese terzo, coniuge di cittadino dell’Unione europea, può essere rilasciato un titolo di soggiorno per motivi familiari anche quando non sia regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, in quanto, alla luce dell’interpretazione vincolante fornita dalla sentenza della Corte di Giustizia n. C-127 del 25 luglio 2008, la Direttiva 2004/38/CE consente a qualsiasi cittadino di paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, ai sensi dell’art. 2, punto 2 della predetta Direttiva, che accompagni o raggiunga il predetto cittadino dell’Unione in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, di ottenere un titolo d’ingresso o soggiorno nello Stato membro ospitante, a prescindere dall’aver già soggiornato legalmente o meno in un altro Stato membro; pertanto, una normativa interna che imponga al coniuge del cittadino dell’Unione la condizione del previo soggiorno regolare in uno Stato membro prima dell’arrivo nello Stato ospitante, è incompatibile con la Direttiva citata, in considerazione del diritto al rispetto della vita familiare stabilito all’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo”.

Ancora, sullo stesso punto, il Tribunale di Mantova, richiama altresì la decisione della Corte di Giustizia, C-83/11 ove si ebbe modo di precisare che “lo Stato membro ospitante deve assicurarsi che la propria legislazione preveda criteri che siano conformi al significato comune del termine «agevola» […] e che non privino tale disposizione del suo effetto utile”.

All’esito di quanto finora detto, merita riflessione la circostanza che, qualora si giungesse a una differente lettura delle norme, tale interpretazione si porrebbe irrimediabilmente in contrasto con la direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che trova attuazione nel d.lgs. 30/2007. In tal senso, in forza dell’art. 7 dell’appena menzionato decreto legislativo, il familiare non avente cittadinanza di uno Stato membro che intende soggiornare nel territorio di nazionale, deve chiedere un permesso di soggiorno per il cui rilascio, il medesimo decreto, esige l’attestato di richiesta di iscrizione anagrafica. Pertanto, lì dove dovesse accogliersi la tesi dell’amministrazione comunale sarebbe impossibile, per un cittadino di paese terzo, privo di autorizzazione all’ingresso ovvero alla permanenza, ricongiungersi con il partner italiano stante l’impossibilità di ottenere l’iscrizione anagrafica che è solo postuma alla trascrizione nei registri di stato civile dell’accordo di convivenza e che ne produce requisito per l’ottenibilità del permesso di soggiorno per motivi familiari; il che produrrebbe un’intollerabile lesione del diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 CEDU ovvero una violazione della direttiva medesima che, va evidenziato, risulta self-executing.

Siffatti considerazioni trovano pieno accoglimento della menzionata pronuncia del Tribunale di Mantova che, del resto, si accoda a quanto deciso, in precedenza, da altri tribunali nazionali (Cfr. Trib Milano, sez. IX, 31/5/2016, est. Dott. Buffone; Tribunale di Bologna con ordinanza n. 21280 del 03.02.2020; Tribunale di Modena con ordinanza n. 370 del 07.02.2020; Trib. Catania, I sez. civile, 03/01/2021 est. Dott.ssa Apostolico; Trib. Milano, I sez. civile, 25/4/2021 est. Dott.ssa Boroni; Trib. Benevento, I sez. civile, 1901/2022 est. Dott. Loffredo).

È di tutta evidenza, quindi, che l’atteggiamento serbato da molte amministrazioni comunali integra non solo una cattiva ed errata interpretazione del diritto, ma un comportamento pregiudizievole idoneo a integrare comportamenti discriminatori lì dove, a causa di tali atti, puntualmente condannati e rimossi dai tribunali e altrettanto ripetuti da altre amministrazioni comunali sul territorio nazionale, il partner del cittadino italiano subisce condotte idonee a ledere la sua sfera più intima ovvero il regolare svolgimento della sua vita.

All’indomani dell’ennesima decisione di condanna nei confronti di un’amministrazione comunale ovvero dell’ennesima pronuncia che ancora una volta enuclea la regolare procedura e la corretta applicazione del diritto, è forse giunto il momento di un, seppur tardivo, intervento del legislatore, teso a dirimere questioni non più prorogabili, consentendo il corretto esercizio del diritto alla trascrizione della convivenza di fatto, pur in mancanza di iscrizione anagrafica e valido titolo di soggiorno.

 

 

[1] La Suprema Corte di Cassazione ebbe a specificare, nella sentenza n. 3876 del 2020 quanto espresso dalla Commissione Europea, con comunicazione COM 2009 (313) del 2 settembre 2009, concernente gli orientamenti per un migliore recepimento e una migliore applicazione della direttiva 2004/38/CE, che, al punto 2.2.1, affermava: “il partner con cui un cittadino dell’Unione abbia una stabile relazione di fatto, debitamente attestata, rientra nel campo di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b). Le persone cui la direttiva riconosce diritti in quanto partner stabili possono essere tenute a presentare prove documentali che dimostrino la loro qualità di partner di cittadini UE e la stabilità della relazione. La prova può essere fornita “con ogni mezzo idoneo”.

 

Potrebbe interessarti anche