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Parità o disparità di genere? Gli ultimi dati alla mano!

Attualità - Francesca Pollicino - 14 Marzo 2022

Parlare di gender gap nel 2022 a quanto pare è ancora urgente e necessario. Analizziamo per esempio alcuni dati del dettagliato Rapporto AlmaLaurea[1] 2022. Come vedremo subito, si tratta di evidenze che possono stimolare riflessioni e ispirare nuove politiche a sostegno della formazione e dell’occupazione.

L’analisi interessa i dati raccolti nel 2020 su un campione di 291.000 laureati, di cui il 58,7% sono donne e il 41,3% uomini. Il campione è stato analizzato sotto quattro aspetti: le scelte formative e performance di studio; gli esiti occupazionali; le aspirazioni e realizzazioni lavorative; la mobilità territoriale.

Le donne sono la maggior parte degli iscritti all’università. Inoltre, il curriculum delle laureate è brillante e ricco di esperienze formative importanti per il futuro lavorativo:

  • l’80% delle donne ha una formazione liceale, mentre gli uomini il 68%;
  • il 61,4% delle donne frequenta e supera brillantemente tirocini curricolari, rispetto al 52% degli uomini;
  • le donne aderiscono più facilmente a esperienze formative all’estero;
  • il 60% delle donne e il 55% degli uomini si laurea in corso, ma le donne hanno una votazione media, anche se di poco, più alta: 103/110 le donne e 102/110 gli uomini.

Sono molteplici gli elementi che condizionano le scelte e gli esiti occupazionali di donne e uomini tra cui, per esempio, il percorso disciplinare intrapreso, il contesto familiare in cui si è cresciuti, le esperienze maturate durante il percorso formativo, la disponibilità alla mobilità, senza trascurare le aspettative personali e le scelte di vita.

La vita di ognuno/a di noi, come diceva Maslow, è mossa dalla necessità di soddisfare bisogni e, nella società in cui viviamo, tra i bisogni più difficili da realizzare c’è certamente la realizzazione personale. Qui entrano in gioco le aspettative, le aspirazioni lavorative e personali. Analizzando questi aspetti, prettamente soggettivi, si notano profonde differenze che vedono le donne più interessate, rispetto agli uomini, alla stabilità lavorativa, alla rispondenza dell’occupazione ai propri ideali e valori e all’utilità sociale del lavoro. Tuttavia, per le laureate, è sempre più importante la ricerca di indipendenza e autonomia. Per gli uomini, al contrario, prevalgono la rilevanza del prestigio ricevuto dal lavoro e la possibilità di carriera.

Queste aspirazioni ci indicano che la donna ha un forte desiderio di stabilità e spesso rinuncia a carriere rischiose, come una libera professione o un lavoro autonomo.

Conosciute le aspettative e i desideri di uomini e donne, la scelta del percorso universitario non può che avere questi esiti, particolarmente rilevanti, perché la scelta tra i vari corsi di studio influenza il percorso lavorativo e, di conseguenza, anche lo stipendio.

I dati riportati rappresentano la componente femminile all’interno del corso di laurea o dell’ambito di studi:

  • Scienze della formazione primaria 95,8%;
  • Ambito letterario umanistico 91,5%;
  • Scienze giuridiche 64,1%;
  • Ambito medico e sanitario 60,7%;
  • Architettura e ingegneria civile 58,2%;
  • Percorsi triennali STEM[2] 40%;
  • Percorsi magistrali STEM 14%.

La scelta del percorso di studi appare particolarmente improntata agli stereotipi: le donne prediligono i percorsi umanistici, a forte componente educativa, formativa e di cura, mentre gli uomini preferiscono studi più scientifici e tecnici. Tuttavia, le reali motivazioni della scelta risiedono in una decisione ben ragionata e stimolata da interessi personali, passioni e qualità caratteriali e totalmente svincolata dagli stereotipi di donna o di uomo. Oggi la maggior parte dei/lle giovani ha un’ampia libertà di scelta e il dato più rilevante è che si studia ciò che piace, che meglio si adatta alla propria personalità, alle attitudini e alle competenze già acquisite.

Ma queste scelte sono davvero libere? O sono forse condizionate dalle immagini di uomo e donna proposte dal contesto sociale di appartenenza? Leggendo questi dati, che coincidono con quanto risulta dal Bilancio di Genere, si nota come l’opinione sociale abbia ancora potere di influenzare le scelte di giovani studenti e studentesse che si ritrovano, inevitabilmente, immersi nello stereotipo che tanto si cerca di scardinare.

Infatti, i dati mostrano che le donne cercano sicurezza e stabilità.

Considerando le singole tipologie di attività lavorativa, le donne preferiscono il settore pubblico a quello privato ed evitano il rischio di una libera professione o di un lavoro autonomo. Nel settore pubblico sono impiegate per il 35,8% donne con laurea di primo livello e 28,4% con laurea magistrale; mentre gli uomini rappresentano il 24,4% (primo livello) e il 16,5% dopo la laurea magistrale.

Emerge anche che le donne sono, talvolta, occupate in lavori a contratto non standard. Questo perché la vita della donna è molto dinamica e necessita di particolari condizioni del mondo del lavoro che ancora oggi, o non esistono o faticano a funzionare. La donna, oltre che lavoratrice, è spesso madre, moglie o compagna, figlia di genitori anziani bisognosi di assistenza, chi in casa si occupa delle pulizie, della cucina e della cura in generale. Non bisogna, quindi, dimenticare che la donna è, spesso, costretta a lavorare part-time, in smart-working, vicino a casa e ciò influisce profondamente sulla scelta del lavoro o sulla tipologia contrattuale, con risvolti pratici anche sullo stipendio.

La fine del percorso universitario e l’ingresso nel mondo del lavoro sono momenti di vita cruciali: sono gli anni di maggiore incertezza, ma anche di entusiasmo e intraprendenza. I dati rivelano che le donne desiderano formare una famiglia e allo stesso tempo avere autonomia economica e stabilità lavorativa in un impiego che corrisponda a quanto studiato, mentre l’uomo si concentra sulla carriera e accetta anche lavori distanti da casa.

Tra il conseguimento della laurea e l’ingresso nel mondo del lavoro i dati di uomini e donne si ribaltano: tanto prima le donne erano le migliori studentesse e laureate, tanto meno trovano occupazione e percepiscono minore retribuzione rispetto agli uomini.

L’analisi degli esiti occupazionali dei laureati conferma le note differenze di genere: gli uomini sono avvantaggiati in termini di tasso di occupazione e di velocità di inserimento nel mercato del lavoro, inoltre, ciò dipende anche da alcune caratteristiche del lavoro svolto. Come affermato in precedenza, gli uomini svolgono in maggior misura un lavoro autonomo o alle dipendenze con un contratto a tempo indeterminato.

In ultimo, la pandemia non ha aiutato la disparità di genere: nell’autunno del 2020, in concomitanza con la progressiva riapertura delle attività economiche, il tasso di occupazione, tra le donne, ha continuato a diminuire, mentre tra gli uomini è rimasto stabile.

La retribuzione è il dato che colpisce maggiormente: a cinque anni dal conseguimento del titolo gli uomini percepiscono circa il 20% in più delle donne sia tra i laureati di primo livello (1.651 euro per gli uomini, rispetto a 1.374 euro per le donne) sia tra quelli di secondo livello (1.713 euro per gli uomini e 1.438 euro per le donne).

 Questo divario è fortemente legato non solo, come si è visto, al gruppo disciplinare, ma anche al settore in cui ciascun laureato trova un impiego e alla tipologia di contratto. La disparità tra uomo e donna non nasce nel percorso di studi o a causa della scelta di una disciplina umanistica rispetto a una scientifica, ma è insita nella mentalità della collettività e nei meccanismi della retribuzione imposti dal mondo del lavoro. Le donne scelgono carriere universitarie che portano a sbocchi lavorativi con retribuzione minore rispetto alla diversa esperienza dell’uomo. La realtà è che i “lavori delle donne” sono pagati poco! Innalzare il livello degli stipendi, nelle aree dove sono impiegate le donne, aiuterebbe a valorizzare importanti settori (un esempio tra tanti, l’istruzione) e, di pari passo, a colmare il gap.

Le differenze sono mitigate in presenza di mobilità nazionale o internazionale: migrare per motivi di studio o di lavoro apre quindi le porte a nuove opportunità e consente ai laureati di raggiungere retribuzioni più elevate. In questo contesto le donne riescono a ridurre, seppure parzialmente, la distanza che le separa dagli uomini. Tuttavia, non possiamo pensare che la soluzione per la parità salariale sia l’emigrazione dal sud al nord Italia, né tantomeno il trasferimento all’estero: sarebbe una vera e propria sconfitta per l’Italia che già soffre la fuga di molti/e, e brillanti, laureati/e.

Leggendo i dati, tante sono le problematiche emerse, non nuove, ma che, evidentemente, non hanno ancora trovato efficace soluzione. Tra le missioni del PNRR troviamo numerosi obiettivi per colmare il gender gap e auspichiamo che vengano attuate politiche sempre più inclusive e attente ai bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori, a partire dalle esigenze di natura personale e familiare, per combattere disuguaglianze e discriminazioni.

 

[1] Il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea è attivo dal 1994 e oggi rappresenta 78 Atenei italiani e circa il 90% dei laureati annuali.
[2] Per lauree STEM (science, technology, engineering, mathematics) si intendono i corsi di laurea del settore agrario, biotecnologie e chimica, fisica, matematica, il ramo delle ingegnerie e dell’informatica.

 

*Comunicazione per il Seminario Quanto siamo EQUAL?”, svoltosi presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Udine, l’8 marzo 2022, in occasione del secondo anniversario dall’inaugurazione del portale.

Per approfondire

Rapporto AlmaLaurea 2022

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