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Online il Rapporto Amnesty International 2023: il punto sui diritti delle persone LGBTQIA+

Attualità - Nicola Deleonardis - 11 Aprile 2023

È stato pubblicato il Rapporto 2023 di Amnesty International dedicato allo stato dei diritti umani nel mondo, all’interno del quale viene dedicata particolare attenzione ai diritti delle persone LGBTQIA+.

Come rileva il Rapporto, se è innegabile l’impatto delle guerre e delle tensioni sociali disseminate nel mondo sul rispetto dei diritti delle persone omo/bi/transessuali, allo stesso tempo è evidente come le condotte discriminatorie e le violenze campeggino anche nei luoghi “distanti” dalla guerra e soprattutto entro le mura domestiche.

Passando ad un’analisi più approfondita, il Rapporto segnala che nell’Africa subsahariana persiste l’assenza di ogni forma di protezione verso le persone LGBTQIA+; assenza che già trapela dal rifiuto della Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli di concedere lo status di osservatore a tre organizzazioni noprofict proprio perché si occupano dei diritti delle persone omo/bi/transessuali. In Zambia, ad esempio, i membri del movimento omofobo #BanNdevupaNdevu #BanHomosexuality hanno utilizzato WhatsApp per diffondere un messaggio di protesta (e di odio) volto a richiedere la condanna a morte di persone “sospettate di essere omosessuali”.

La criminalizzazione delle persone LGBTQIA+ non solo stenta a scomparire, ma risorge periodicamente con provvedimenti ancor più repressivi: in Ghana è stato presentato nelle aule parlamentari un disegno di legge “antiLgbt”, mentre in Nigeria tre uomini omosessuali sono stati condannati a morte da un tribunale della sharia a Ningi, nello stato di Bauchi. Le stesse violenze e persecuzioni vengono affrontate quotidianamente dalle persone LGBTQIA+ in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, portate alle luci della ribalta durante il Mondiale in Qatar.

Le palesi discriminazioni e violenze emerse in territorio africano non sono particolarmente dissimili da quelle presenti in Asia, nonostante in alcuni paesi (Giappone, Singapore e Taiwan) siano stati compiuti alcuni passi verso il riconoscimento legale dei diritti LGBTQIA+. In Pakistan, ad esempio, persistono gli attacchi e le violenze soprattutto verso le persone transessuali.

La situazione sembra sia migliorata in America, soprattutto sotto il profilo normativo. Ed infatti, se da un lato è ancora alto il rischio di violenze ed omicidi per le persone transgender in Colombia, Guatemala, Honduras, Messico e Brasile (che per il 13° anno consecutivo è stato il Paese con il più alto numero di omicidi di persone transgender nel mondo), dall’altro vi sono notizie che lasciano ben sperare. Proprio in territorio brasiliano sono state elette, per la prima volta, due donne transgender al congresso federale.

In altri paesi, invece, sono state approvati provvedimenti che hanno riconosciuto diversi diritti delle persone LGBTQA+. In Colombia, la Corte costituzionale ha riconosciuto un marcatore di genere non binario per la registrazione dell’identità, mentre Cuba, a seguito di un refederendum, ha approvato un nuovo Codice di Famiglia che legalizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso e consente l’adozione. Negli Stati Uniti, invece, è stato recentemente emanato il Respect for Marriage Act, che fornisce una protezione federale ai matrimoni omosessuali.

Passando all’Europa, il Rapporto rileva come un ruolo di primo piano sia rivestito dal diritto vivente che, in ossequio ai principi e valori garantiti dalle Carta UE, sta riconoscendo e rinforzando i diritti delle persone LGBTQIA+ nel territorio unionale. A titolo esemplificativo, i tribunali croati hanno confermato la parità di trattamento per le coppie dello stesso sesso nelle procedure di adozione, mentre in Slovenia la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del divieto dei matrimoni tra persone dello stesso sesso e delle adozioni omosessuali. Ancora, a seguito di una decisione della Corte Suprema, i tribunali amministrativi della Lettonia hanno iniziato a riconoscere le coppie dello stesso sesso.

In conclusione, occorre mettere in luce due aspetti. In primo luogo, il Report di Amnesty International richiede un massiccio intervento dei governi nazionali volto non solo a depenalizzare l’omosessualità e la transessualità, ma anche ad adottare misure che puniscano i soggetti colpevoli di condotte discriminatorie e violente sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

Calati nella realtà nazionale – e qui siamo al secondo aspetto – gli auspici di Amnesty International aumentano la consapevolezza del ritardo (per non dire il rifiuto!) dell’Italia rispetto a certe tematiche affrontate in Europa che, occorre sottolineare, non riguardano certo orientamenti di politica economica, ma il riconoscimento di diritti umani e civili, dunque diritti connaturati ad uomini e donne in quanto tali e in qualità di cittadini.

Non solo resta nel “cassetto dei disegni di legge insabbiati” il ddl Zan, ma, al contrario, le notizie degli ultimi giorni, riguardanti il divieto di trascrizione nei registri comunali dei figli nati all’estero mediante gestazione per altri, evidenziano il tentativo di rimettere in discussione diritti ormai acquisiti, nonostante la Corte costituzionale abbia espressamente richiesto un intervento del legislatore volto a equiparare la condizione giuridica dei minori nati mediante tecniche di procreazione assistita a quella degli altri minori.

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