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No alla reversibilità per le coppie omosessuali: una discutibile pronuncia della Cassazione

Giurisprudenza - Loretta Moramarco - 25 Gennaio 2022

La Cassazione, con sentenza 14 settembre 2021, n. 24694 (in Lavoro, Diritti, Europa con nota dell’autrice), ha riformato la sentenza della Corte di Appello di Milano che, con una innovativa pronuncia direttamente applicativa di principi costituzionali, aveva riconosciuto il diritto del superstite di una coppia omosessuale alla reversibilità della pensione di vecchiaia anticipata corrisposta da Inarcassa. La coppia non aveva contratto l’unione civile, essendo la legge 20 maggio 2016, n. 76 entrata in vigore successivamente al decesso di una delle parti.

La motivazione analizza criticamente la sentenza di secondo grado rispetto alla quale rileva principalmente due errori di diritto: il primo è la violazione dell’art. 11 delle preleggi; il secondo è l’essersi sostituita alla Corte costituzionale. Infine, con una breve e poco convincente valutazione, la Corte di Cassazione reputa non manifestamente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, l. n. 76 del 2016, «nella parte in cui non prevede la possibilità di una sua applicabilità retroattiva – e, anzi, senza alcun limite temporale – a tutte le coppie conviventi in modo stabile».

È, pertanto, evidente che la Corte “adotti” non solo una lettura originalista dell’art. 29 cost. ma anche una visione stereotipata dei rapporti coniugali, eterosessuali e squilibrati, e non coniugali affermando – apoditticamente – che in mancanza di matrimonio non sussistano quei diritti e doveri reciproci, sia personali che patrimoniali. La Cassazione dimentica il principio solidaristico che, al contrario, avrebbe potuto e dovuto valorizzare. La giurisprudenza (Corte cost., 20 maggio 1999, n. 180) è, peraltro, intervenuta per estendere il novero dei soggetti beneficiari, pur ancorando il diritto al requisito della “vivenza a carico”, affermando, peraltro, che «l’ambito di famiglia presa in considerazione dal regime generale della previdenza sociale tende ad essere più ampio rispetto a quello che fa esclusivo riferimento al matrimonio ed alla filiazione». I passaggi meno convincenti della pronuncia che si commenta sono quelli relativi alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Nel caso di specie la Suprema Corte pone sullo stesso piano situazioni assolutamente non sovrapponibili: le coppie omosessuali che non hanno potuto (mancando la normativa) unirsi civilmente e le coppie eterosessuali conviventi more uxorio. È proprio il riferimento alla convivenza more uxorio “fondata esclusivamente sulla affectio quotidiana – liberamente e in ogni istante revocabile”- a mostrare l’ingiustizia della situazione della coppia omosessuale e, in particolare, del superstite della coppia che ha azionato il giudizio. Il superstite, infatti, allegava al ricorso l’unica “formalizzazione” possibile della sua unione ossia l’iscrizione nelle liste istituite dal Comune di Milano. Sul punto la Suprema Corte, anziché valorizzare come avrebbe dovuto tale elemento, si è limitata ad affermare che «in nessun caso un atto amministrativo potrebbe surrettiziamente imporre alla ricorrente Inarcassa trattamenti pensionistici coperti da riserva relativa di legge ex art. 23 Cost.».

La Corte qui omette di ricordare che nel caso Oliari c. Italia (CGUE, 21 luglio 2015, C- 18766/11 e C- 36030/11) tra i numerosi argomenti di merito portati a propria difesa dal governo italiano vi fossero proprio i registri delle unioni civili, istituiti presso molti comuni, come esempio di forme specifiche e concrete di tutela giuridica delle coppie omosessuali (§ 130).

La Corte di Cassazione, poi, avrebbe dovuto interrogarsi su quale sia la “famiglia” e quale il rapporto di “coniugio” oggetto della specifica tutela previdenziale. Il diritto antidiscriminatorio e la giurisprudenza europea potrebbero essere d’ausilio al giudice, anche costituzionale, al fine di reputare la attuale disciplina lesiva non solo delle norme sopra richiamate bensì anche del diritto europeo e, in particolare, della nozione di famiglia e vita familiare che da esso si ricava.

Ad essere discriminatoria, invero, è la stessa impossibilità di sposarsi o contrarre un’unione legalmente riconosciuta, essendo perfettamente analoghe le situazioni del partner omosessuale a quella del coniuge in presenza di idonee prove in ordine alla stabilità (intesa come volontà di costituire una unione stabile, essendo il matrimonio dissolubile anche dopo pochissimo tempo) e assunzione di obblighi e diritti reciproci. È surreale, infine, che si chieda al ricorrente il possesso di un requisito che non ha potuto acquisire per un ritardo pacificamente addebitabile allo Stato stesso.

 

 

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