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Niente treno per le persone con disabilità: ancora tortuosa la via dell’accessibilità

Diversity & Inclusion - Massimiliano De Falco - 16 Maggio 2022

Ancora una volta, le barriere architettoniche si rivelano fonte di discriminazione per le persone con disabilità, costrette a viaggiare con un autobus sostitutivo, anziché con il treno da tempo prenotato, in una condizione tale da arrecare loro un danno ulteriore (e ben più grave) rispetto a quello subito dagli altri passeggeri.

Prima di entrare nel merito dell’accaduto, occorre rammentare che la Convenzione ONU «sui diritti delle persone con disabilità» del 2006 individua «l’accessibilità» tra i principi generali su cui fondare il processo di realizzazione dell’inclusione e delle pari opportunità (art. 3, lett. f). Questo significa assicurare misure idonee e adeguate affinché le persone con disabilità possano accedere «all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione […] e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico» su base di uguaglianza con gli altri, sì da «vivere in maniera indipendente e partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita» (art. 9).

Inoltre, l’art. 4 della Convenzione (rubricato «Obblighi generali») statuisce che gli Stati Parti devono impegnarsi a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, senza discriminazione alcuna sulla base della disabilità, fornendo «informazioni accessibili in merito ad ausili alla mobilità […] così come altre forme di assistenza, servizi di supporto ed attrezzature» (lett. h). Pertanto, ogniqualvolta l’accessibilità di un luogo sia impedita (o limitata) alle persone con disabilità, si prefigura una condotta discriminatoria, tale da legittimare le vittime al ricorso alla «tutela giudiziaria» prevista dalla L. n. 67/2006[1].

Stando ai fatti di cronaca, la vicenda è accaduta lo scorso 18 aprile 2022, nella stazione ferroviaria di Genova, Piazza Principe, quando a un gruppo di trenta persone, venticinque delle quali con disabilità cognitiva e psichica, è stato impedito di accedere allo scompartimento del treno loro dedicato. Al termine della gita, organizzata all’insegna del turismo accessibile, dall’associazione no-profit “Haccade”, la comitiva si è recata alla fermata genovese, certa che il viaggio di rientro per Milano – con una carrozza loro riservata da tempo su prenotazione della stessa associazione – non avrebbe celato sorprese.

Tuttavia, gli atti vandalici che avevano colpito il convoglio all’altezza di Savona e che ne avevano decimato la capienza avevano generato una situazione di generale disordine. In vista dei potenziali sovraffollamenti, il personale preposto all’assistenza dei passeggeri ha consigliato all’associazione di viaggiare con l’autobus sostitutivo, programmato dalla compagnia ferroviaria per la gestione degli esuberi. L’associazione ha rifiutato la proposta, asserendo che, in virtù degli accordi presi, lo spazio prenotato avrebbe dovuto essere garantito, anche prima della salita di altri passeggeri. Il diniego era, altresì, giustificato dal fatto che l’associazione aveva assicurato a una persona del gruppo la discesa alla fermata di Milano Rogoredo, che con l’autobus sarebbe stato impossibile raggiungere.

Il treno è giunto al binario in ritardo di un’ora e mezza, con una carrozza in meno e, già colmo di persone ammassate sia nei vagoni, sia nei passaggi tra una carrozza e l’altra, e non ha offerto ospitalità alle trenta persone del gruppo. A nulla sono serviti gli interventi della Polizia ferroviaria, che ha tentato di persuadere i passeggeri ad alzarsi e a lasciare i posti alle persone con disabilità (come era previsto), né tantomeno gli sforzi dell’associazione, impegnata telefonicamente con la compagnia dei treni. Sicché, quella dell’autobus sostitutivo è stata l’unica via praticabile.

Certo è che si è trattato di una soluzione di ripiego, inadatta a un gruppo di persone che abbisogna di assistenza e attenzioni particolari: un mezzo privo di servizi igienici e con condizioni strutturali inadeguate. Benché tutti i passeggeri obbligati a viaggiare con l’autobus siano stati messi in una situazione di particolare disagio, questa risultava ben più critica per il gruppo di persone con disabilità, integrando una discriminazione indiretta a danno di queste ultime: infatti, il comportamento della compagnia – pur penalizzando indistintamente tutti i viaggiatori a cui non era stato consentito di salire sul treno – aveva posto le persone con disabilità in una situazione di maggiore svantaggio rispetto alle altre.

I problemi, però, sono continuati anche nella sede di destinazione: senza previe informazioni su un luogo di preciso arrivo (chiaramente necessarie per le famiglie delle persone con disabilità), l’autobus è giunto a Milano, Piazza Duca d’Aosta, con oltre due di ritardo rispetto al previsto. L’associazione ha coordinato telefonicamente gli interventi, rivolgendosi alla Polizia ferroviaria e alla compagnia dei treni, a cui ha spiegato la situazione e ha comunicato l’arrivo, dal momento che, come da prenotazione, avrebbe dovuto essere garantita dalla compagnia l’assistenza anche nella stazione di destinazione.

Ciononostante, alla discesa dell’autobus sostitutivo, non era presente alcun personale di assistenza della compagnia. Inoltre, stando a quanto denunciato dall’associazione, era impossibile recuperare le valigie in sicurezza, in quanto il portellone dei bagagli si affacciava sulla strada e non sul marciapiede.

La situazione si è risolta, dopo un lungo lasso di tempo, in cui nessuno si è presentato sul posto, solamente grazie alle famiglie della comitiva, che hanno provveduto a recuperare autonomamente i bagagli e ad accompagnare a casa i propri parenti, visibilmente scossi dall’episodio. Nel frattempo, la compagnia dei treni comunicava all’associazione l’integrale rimborso del biglietto per i passeggeri costretti a viaggiare con l’autobus, come se questo potesse bastare a risarcire la disparità di trattamento subita dalle persone con disabilità.

La responsabilità di quanto accaduto non è solamente da imputare ai passeggeri che non hanno lasciato liberi i posti prenotati, ma anche (e soprattutto) alla compagnia che avrebbe dovuto garantire lo spazio e il servizio a tutti i suoi clienti, compresi i passeggeri con disabilità, a cui avrebbe, altresì, dovuto riservare le attenzioni richieste, come da prenotazione.

La questione offre, ancora una volta, lo spunto per riflettere sulle tutele previste, dal diritto antidiscriminatorio, per le persone con disabilità vittime di eventi lesivi dei propri diritti e, per questa via, della propria dignità. Invero, la vicenda poc’anzi presentata pare ben potersi ricomprendere nella «nozione di discriminazione indiretta» accolta nell’ordinamento nazionale, ai sensi dell’art. 2, c. 3, L. n. 67/2006, la quale identifica ogni atto, anche apparentemente neutro, idoneo, però, a mettere le persone con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto alle altre. Come detto, il disagio provocato dal viaggio in autobus ha interessato tutti i passeggeri (disabili e non), ma certamente per alcune persone è stato più gravoso. Tale situazione, alla luce di quanto affermato, costituisce a tutti gli effetti una discriminazione indiretta, tanto più che uno dei principi generali su cui si fonda la citata Convenzione ONU – in particolare, l’accessibilità – era stato fortemente turbato.

La discriminazione indiretta, altresì, prescinde dall’esistenza dell’elemento psicologico soggettivo del soggetto agente di emarginare la persona con disabilità, ritenendosi sufficiente – per l’integrazione della fattispecie – che gli effetti dell’azione, anche neutra, possano arrecare un pregiudizio a colui che li subisce. In conclusione, anche in ragione di tali episodi, pare lecito domandarsi se il sistema del risarcimento del danno sia davvero ancora l’unico strumento in grado di tutelare le persone con disabilità o se, forse, sia auspicabile una soluzione che intervenga non in ottica riparatoria, ma preventiva. Tuttavia, finché non ci sarà un (necessario) cambio culturale, nulla si potrà fare.

[1] Come noto, la L. n. 67/2006, recante «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni» ha introdotto un’azione civile generale a tutela delle persone con disabilità vittime di episodi lesivi della propria dignità, dando attuazione al principio di uguaglianza sostanziale e della parità di trattamento, in un’ottica costituzionalmente orientata all’art. 3, c. 2, Cost.

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