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Molestie sessuali e trasferimento discriminatorio della lavoratrice

Giurisprudenza - Caterina Mazzanti - 21 Settembre 2020

Una lavoratrice denuncia alla società datrice di lavoro di essere stata vittima di molestie sessuali e di comportamenti vessatori da parte del suo superiore gerarchico. A tale lamentela segue il trasferimento della lavoratrice ad altra unità produttiva, per sottrarla al contatto con l’autore delle molestie. Tale assegnazione, però, determina un significativo peggioramento dell’orario di lavoro, delle condizioni lavorative e, più in generale, della qualità della vita della vittima.

La lavoratrice ricorre, quindi, in giudizio, con procedimento ex art. 38 d.lgs. 198/2006 per far accertare la natura discriminatoria del provvedimento datoriale, violativo del principio di parità di trattamento uomo-donna, e per ottenere la riassegnazione alla precedente sede lavorativa.

La società resistente eccepisce, in via preliminare, l’improcedibilità del ricorso, asserendo che l’azione posta in essere dalla lavoratrice non rientra tra le ipotesi tassativamente previste dall’art. 38 d.lgs. 198/2006; mentre, nel merito, evidenzia che il trasferimento sia stato reso necessario dall’impossibilità di destinare ad altra unità produttiva il superiore gerarchico, in quanto unico in grado di rivestire il ruolo di capo-squadra. Tuttavia, non deduce capitoli di prova o documentazione utili a dimostrare tale circostanza.

Il Tribunale di Torino, con decreto del 7 maggio 2020 respinge l’eccezione di improcedibilità e accoglie il ricorso della lavoratrice, riconoscendo la sussistenza di una discriminazione. Infatti, sebbene durante il normale svolgimento del rapporto di lavoro l’adibizione ad altra sede costituisca una facoltà del datore di lavoro, nel caso di specie, la circostanza che il trasferimento sia seguito alla denuncia da parte della lavoratrice fa presumere la sussistenza di una discriminazione, anche alla luce dei significativi disagi e delle peggiorate condizioni di lavoro rispetto a quelle precedentemente godute dalla lavoratrice, ancorché non tali da assurgere a danno giuridicamente rilevante.

Il decreto in esame rompe il silenzio che avvolge il fenomeno delle discriminazioni sul posto di lavoro. Spesso, il timore di subire ritorsioni induce le vittime a tacere e a rinunciare alle tutele previste dal nostro ordinamento, quali l’ordine di cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione di tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti dalle condotte denunciate (art. 38, comma 1, d.lgs. 198/2006).

La pronuncia, pertanto, si segnala per l’incisiva tutela a favore della lavoratrice e per un accorto uso sul piano probatorio delle presunzioni.

 

Approfondimenti

Testo della decisione

 

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