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L’ONU condanna l’Italia per violazione dei diritti umani dei caregiver familiari

Diversity & Inclusion - Claudia Carchio - 25 Novembre 2022

 

In una recente pronuncia, pubblicata il 3 ottobre 2022, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha rilevato che l’Italia non assicura un quadro giuridico adeguato di tutela e assistenza per i caregiver familiari, riscontrando che l’incapacità dell’ordinamento giuridico nazionale di fornire servizi di supporto individualizzati a una famiglia di persone con disabilità è discriminatoria e viola i loro diritti alla vita familiare a vivere in modo indipendente e ad avere adeguati standard di vita.

La pronuncia trae origine dalla richiesta di una cittadina italiana, caregiver familiare della figlia e del partner, entrambi persone disabili, la quale ha denunciato il mancato riconoscimento dello status legale e di una protezione specifica alle persone che assistono i propri familiari affetti da patologie invalidanti, individuato come fonte di pregiudizio per tutti i membri della famiglia.

Nel dettaglio, la ricorrente lamenta un’assenza di tutela giuridica per i caregiver familiari (quali potrebbe essere ad esempio l’erogazione di un’indennità o di una pensione connesse all’assistenza prestata ovvero un’assicurazione nel caso di malattia), sottolineando come ciò possa mettere a repentaglio la salute, le finanze, la condizione socio-economica, la vita personale e sociale di tali soggetti e determinare, così, un più generalizzato rischio di impoverimento. L’unica tutela economica riconosciuta dallo Stato è, infatti, una prestazione, di importo molto basso, a beneficio della sola persona con disabilità, mentre nessuna forma di sostegno è prevista direttamente a favore di chi la assiste.

L’attività di cura, del resto, incide sulla capacità lavorativa di chi la svolge, perché il tempo e le energie investite vengono sottratte al lavoro prestato al di fuori dalle mura domestiche: di qui una potenziale perdita di reddito diretta, che si aggiunge alla perdita economica indiretta, dovuta all’esborso per le spese associate all’assistenza. Quale conseguenza a lungo termine, l’impossibilità di svolgere attività lavorativa e produrre reddito si ripercuote anchensulla maturazione dei diritti pensionistici.

Accogliendo le doglianze avanzate, il Comitato dell’ONU ha riscontrato una violazione da parte dell’Italia degli obblighi previsti dagli artt. 19, 23 e 28, comma 2, lett. c), in combinato disposto con l’art. 5 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e formulato delle specifiche raccomandazioni all’Italia, inerenti sia la situazione della ricorrente, sia, più in generale, la condizione di tutte le persone con disabilità e i loro caregiver.

Sul primo versante, il Comitato ha sancito l’obbligo per lo Stato italiano di garantire alla ricorrente e alla sua famiglia adeguate misure di compensazione finanziaria, nonché l’accesso a servizi di supporto individualizzati, che comprendano i riposti dall’attività di cura, l’assistenza finanziaria, un’adeguata consulenza professionale, il sostegno sul piano sociale e ogni altra misura che sia necessaria per garantire il rispetto delle previsioni della Convenzione.

Sul secondo fronte, al fine di evitare il ripetersi delle violazioni accertate, all’Italia è stato richiesto di agire, anche modificando la normativa di legge in vigore, provvedendo a : a) instituire programmi di protezione sociale rispondenti alle diverse esigenze delle persone che hanno differenti gradi di disabilità; b) informare le persone con disabilità del proprio diritto a vivere indipendentemente nella comunità, predisponendo corsi di formazione che accrescano le loro conoscenze circa le misure di tutela dei propri diritti; c) implementare le garanzie per il mantenimento del diritto a vivere in modo indipendente su tutto il territorio nazionale, anche incrementando il sostegno economici necessario a tal fine, compreso quello per l’assistenza personale e per i caregiver familiari, nonché reindirizzando le risorse destinate all’istituzionalizzazione verso i servizi di comunità territoriale.

Tale decisione si fonda sulla considerazione che le misure adottate finora dallo Stato italiano non garantiscono un livello adeguato di supporto alle persone con disabilità e ai loro familiari che li assistono (come, ad esempio, il rimborso delle spese, l’accesso all’alloggio, servizi di assistenza economicamente accessibili, un regime fiscale agevolato, un orario di lavoro flessibile, il riconoscimento dello status di caregiver nel sistema pensionistico).

Nonostante l’Italia abbia adottato una legislazione per proteggere tali soggetti, la stessa appare insufficiente e il vuoto di tutela che ne deriva si pone in contrasto con numerosi obblighi internazionali assunti mediante la ratifica della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità del 2006.

Tra le norme che si assumono violate, vi è in primo luogo l’art. 19 della Convenzione che sancisce il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere in modo indipendente nella comunità e ad essere al contempo incluse nella società. L’adempimento di tale prescrizione impone agli Stati di adottare misure efficaci e appropriate per facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità del diritto a vivere nella comunità con la stessa libertà di scelta delle altre persone, in particolare assicurando loro: la possibilità di scegliere il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere in condizioni di parità con gli altri; il diritto di accedere a una gamma di servizi di supporto a domicilio, compresa l’assistenza personale necessaria per prevenire l’isolamento o la segregazione dalla comunità; i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni.

Il Comitato ricorda inoltre che i servizi di supporto individualizzati devono essere considerati un diritto e non già una mera forma di assistenza medica, sociale o di beneficenza, sicché le persone con disabilità hanno il diritto di scegliere i servizi e i fornitori di servizi in base alle proprie esigenze e preferenze personali, e il supporto individualizzato dovrebbe essere sufficientemente flessibile da adattarsi alle esigenze degli “utenti” e non viceversa. A tal fine vi è un obbligo in capo agli Stati di promuovere, facilitare e fornire adeguate misure legislative, amministrative, finanziarie, giudiziarie, programmatiche, promozionali e di ogni altro tipo che possano assicurare servizi di sostegno alla disabilità accessibili, convenienti e adatti a tutte le persone con disabilità, in ragione delle diverse condizioni di vita (quali il reddito individuale o familiare) e delle condizioni individuali.

Rientra in tale dovere anche la fornitura dei servizi di supporto agli assistenti familiari, in modo che essi possano a loro volta aiutare i parenti a vivere in modo indipendente nella comunità. A tale proposito è cruciale il ruolo del sostegno finanziario, perché gli assistenti familiari, a causa dell’attività di cura che offrono, si trovano spesso ai margini del mercato del lavoro e vivono in condizione di estrema povertà.

Con riferimento alla situazione nazionale, il Comitato ha espresso preoccupazione per l’assenza di misure di sicurezza sociale efficaci per gli assistenti familiari, quali il rimborso delle spese sostenute, l’accesso all’alloggio, un servizio di assistenza finanziaria accessibile, un regime fiscale favorevole, orari di lavoro flessibili, il riconoscimento dello status di caregiver nel sistema pensionistico e la tutela contro le discriminazioni e i licenziamenti arbitrari. Anche il mancato riconoscimento di forme risarcitorie e compensative pubbliche pur a fronte di una situazione familiare complessa rende lo Stato inadempiente.

Non meno rilevanti sono poi, a giudizio del Comitato, le differenze di genere che tale situazione comporta: essendo soprattutto le donne a svolgere il lavoro di cura e assistenza familiare, esse sono più di frequente costrette a rinunciare ad avere un impiego nel mercato del lavoro rispetto agli uomini, con tutte le conseguenze negative che ciò determina.

La mancanza di protezione a favore dei caregiver finisce per ripercuotersi negativamente anche sui disabili assistiti, integrando una ulteriore violazione dell’art. 19 della Convenzione, perché la carenza di sostegni di tipo finanziario e sociale, di servizi di assistenza diurna a prezzi accessibili, di assistenza domiciliare, anche notturna, di attività di orientamento e consulenza, di istruzione e sviluppo delle competenze ha un impatto sul contesto familiare nel suo complesso.

Un’ulteriore violazione da parte dell’Italia riguarda le previsioni dell’art. 23 della Convenzione, in quanto l’Italia si è dimostrata incapace di fornire alla famiglia un adeguato sostegno nel suo diritto alla casa e alla famiglia. L’art. 23 prescrive, infatti, agli Stati di adottare misure sotto forma di aiuti finanziari, che variano a seconda della necessità della persona con disabilità affinché possa vivere con la propria famiglia e non essere collocata negli istituti. Il Comitato ricorda che il diritto a vivere in modo indipendente nella comunità è intimamente legato al diritto alla famiglia per i bambini e i genitori con disabilità e che l’assenza di sostegno e servizi sociali può creare pressioni e difficoltà finanziarie per tali soggetti. A tale scopo lo Stato deve stanziare specifiche risorse finanziarie, sociali e di ogni altro tipo in tutte le regioni, sì da garantire a tali famiglie di poter godere del proprio diritto all’alloggio, all’inclusione e alla partecipazione alle loro comunità locali, escludendo il ricorso all’istituzionalizzazione delle persone con disabilità.

Viene, infine, riscontrata la violazione dei diritti di cui all’art. 28 della Convenzione, in quanto l’Italia non riconosce adeguate forme di protezione o di assicurazione sociale per i caregiver familiari e tale mancanza pone le famiglie delle persone con disabilità ad alto rischio di povertà, rendendole particolarmente bisognose di protezione sociale in termini di risorse, tempo e servizi.

In particolare, ai sensi dell’art. 28, lett. c) della Convenzione, gli Stati devono adottare le misure appropriate per consentire l’accesso delle persone con disabilità e delle loro famiglie che vivono in situazioni di povertà ad un’assistenza mirata, che include il concorso nelle spese derivanti dalla disabilità, la formazione, la consulenza, il supporto finanziario e l’assistenza sostitutiva. Le persone con disabilità devono poter godere di un tenore di vita adeguato, che gli Stati possono assicurare mediante l’accesso a servizi, dispositivi e altre forme di assistenza appropriate e accessibili in ragione delle esigenze legate alle specifiche forma di disabilità, soprattutto per le persone che vivono in condizione di povertà (tra queste ultime è ricompreso l’accesso a programmi di edilizia abitativa pubblica e sovvenzionata).

In conclusione, il Comitato osserva che il vuoto normativo che caratterizza l’ordinamento giuridico italiano rende i caregiver familiari vulnerabili e li espone a possibili discriminazioni c.d. per associazione, in violazione dell’art. 5 della Convenzione. Il divieto di discriminazione “sulla base della disabilità” è rivolto, infatti, non solo alle persone con disabilità, ma anche alle persone che affiancano una persona con disabilità, quali ad esempio i genitori di bambini con disabilità. Tale ampia portata del divieto di cui all’art. 5 ha lo scopo di sradicare e combattere tutte le forme di discriminazione comunque legate alla disabilità.

In tal senso, i caregiver sono strettamente associati ai membri della famiglia di cui si prendono cura e possono essere discriminati, in particolare nel mercato del lavoro, per questo motivo. Ne è dimostrazione, nel caso di specie, il fatto che la ricorrente abbia perso il proprio impiego e, quindi il proprio reddito, a seguito della revoca del telelavoro che le consentiva di rimanere a casa per assistere i familiari.

A tal proposito il Comitato ha richiamato due pronunce della giurisprudenza europea. La prima decisione, della Corte di giustizia europea, ha stabilito che il principio della parità di trattamento nell’ambito occupazionale e professionale non è limitato alle persone che hanno esse stesse una disabilità: di qui, la conclusione che si pone in contrasto con il divieto di discriminazione diretta in basa alla disabilità, il comportamento di un datore di lavoro che tratti un dipendente in modo meno favorevole rispetto a come un altro è, è stato o sarebbe trattato in una situazione analoga, a causa della condizione di disabilità del figlio, cui il genitore presta assistenza. Similmente, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il presunto trattamento discriminatorio di un soggetto a causa della disabilità del figlio è una forma di discriminazione basata sulla disabilità contemplata dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Nel caso in esame, la necessità di prestare assistenza continua alla figlia e al partner, ha determinato la perdita dell’occupazione e del reddito, a causa della revoca del telelavoro concesso alla ricorrente. La modalità di esecuzione della prestazione da remoto si pone quale requisito necessario affinché il caregiver possa lavorare e allo stesso tempo prendersi cura dei suoi familiari al fine di evitarne l’istituzionalizzazione. Il ruolo di badante familiare rappresenta allora un ostacolo nell’accesso all’occupazione nel mercato del lavoro e costituisce una discriminazione per associazione.

Con questa importante decisione il Comitato dell’ONU sottolinea che i diritti delle persone con disabilità non possono essere realizzati senza la protezione dei caregiver familiari. Questi ultimi sono titolari sia di un diritto primario ad essere protetti dallo Stato che derivato, allorquando questo riconoscimento sia indissolubilmente legato alla protezione dei diritti dei familiari con disabilità. Il nostro Paese, all’esito di tale pronuncia, dovrà presentare al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, entro sei mesi, una risposta scritta su quali azioni intende attuare per colmare le gravi lacune riscontrate, oltre che risarcire la ricorrente e la sua famiglia per quanto patito.

 

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