Il motore di ricerca delle riviste Pacini Giuridica.
Visita il Portale
BLOG

Lo smart working da “privilegio da tassare” a “rimborso ai lavoratori esente da imposizione”: interviene l’Agenzia delle Entrate

Attualità - Anna Zilli - 14 Maggio 2021

Via libera dell’Agenzia delle Entrate ai rimborsi non tassati per le e gli smart worker. La risposta all’interpello n. 314/2021 precisa come il datore di lavoro possa tenere indenni i dipendenti dalle spese che si trovano a sostenere spese per lavorare dalla propria abitazione: tali somme, se identificate in modo da dimostrare che esse corrispondono a risparmi aziendali, non rappresentano retribuzione imponibile, ma anticipi del lavoratore al datore.

In breve: un datore di lavoro ha deciso di corrispondere la somma di euro 0,50 a titolo di rimborso per ogni giorno di lavoro in smart working. Ha quindi prodotto una tabella in cui, per ogni “tipologia di spesa”, è indicato il “risparmio giornaliero” per l’azienda e il “costo giornaliero” stimato per dipendente addetto al lavoro da casa. In particolare, viene considerato il consumo di energia elettrica per l’utilizzo di un computer e una lampada, l’utilizzo dei servizi igienici (acqua e materiale di consumo) e un’ora di riscaldamento al giorno per i mesi invernali.
Invece, il datore non ha considerato il vitto, la climatizzazione estiva; i costi per la rete internet e altri costi fissi quali le spese di allaccio alla rete elettrica e idrica in quanto ritenuti indipendenti dall’utilizzo dell’abitazione per scopi lavorativi anziché ad uso esclusivamente privato.

Ricordiamo che costituiscono reddito di lavoro dipendente «tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono» (art. 51, comma 1, TUIR). Si tratta del c.d. principio di onnicomprensività ai fini fiscali, in base al quale sia gli emolumenti in denaro, sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere erogati dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Ne discende, in linea generale, che tutte le somme che il datore di lavoro corrisponde al lavoratore, anche a titolo di rimborso spese, costituiscono per quest’ultimo reddito di lavoro dipendente.

Possono però essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro e anticipate dal dipendente: ad esempio, con la Circolare 23 dicembre 1997, n. 326 sono state indicate spese quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, et similia, secondo il principio di mera reintegrazione patrimoniale del dipendente in caso di rimborso di spese sostenute nell’esclusivo interesse del datore (Risoluzione 7 dicembre 2007, n. 357/E).

Infine, l’Ag. Entrate ritiene che, per le modalità di determinazione dell’ammontare della spesa rimborsata, si possa ricorrere 1) al rimborso forfetario se determinato dalla legge, ovvero 2) in mancanza di una previsione legale, individuando i costi sostenuti dal lavoratore «nell’esclusivo interesse del datore» sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, al fine di evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (Risoluzione 20 giugno 2017, n. 74/E).

Ben venga allora la determinazione datoriale di rimborso, anche nella forma della regolazione unilaterale come nel caso in esame.

A questo punto però ci si deve chiedere se, in mancanza di un simile atteggiamento, il lavoratore sia legittimato a chiedere il ristoro per l’arricchimento padronale.

Come noto, il fondamento della previsione dell’art. 2041 c.c. risiede nel principio causale, secondo il quale ogni spostamento patrimoniale deve essere adeguatamente giustificato: in mancanza, può essere esperita l’azione al fine di ripristinare l’originale equilibrio patrimoniale. L’ “arricchimento” consiste in qualsiasi vantaggio conseguito di natura patrimoniale e sia suscettibile di valutazione economica concreta ed effettiva: nella vicenda dello smart working, esso è effetto dell’azione dell’arricchito, che utilizza le risorse del lavoratore.

Certamente la contrattazione collettiva dovrà occuparsi di questo tema, nella consapevolezza che, da un lato, anche il lavoratore gode di risparmi diretti (trasporto, vitto, abbigliamento) e indiretti (tempo, lavoro Covid-free) e che altrove si è detto che  il lavoro agile è un privilegio “da tassare”. 

 

Potrebbe interessarti anche