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L’inclusione organizzativa e la competitività d’impresa

Diversity & Inclusion - Daniele Gasparini - 1 Novembre 2021

La gestione consapevole delle risorse umane è un asset essenziale per la competitività delle imprese sia in termini di mercato, sia in termini di employer branding.

Attrarre, trattenere, coinvolgere i propri collaboratori non è una sfida nuova per le aziende. Tuttavia, mai come in questo momento storico, economico, sociale, il valore che ciascun collaboratore e, più in generale, ogni stakeholder d’impresa ha nell’evoluzione dell’impresa stessa assume una rilevanza così importante. Lo stakeholder non è più soltanto un portatore di interesse, bensì un portatore di conoscenze, di specificità e di stimoli per l’innovazione e la competitività d’impresa.

Il contesto economico in cui operiamo oggi è più che mai incerto e bene viene descritto dall’acronimo V.U.C.A. (Vulnerability, Uncertainty, Complexity, Ambiguity): i confini esterni e interni delle imprese appaiono più labili, più permeabili. È possibile osservare chiaramente le connessioni tra questi due confini: le relazioni tra funzioni organizzative sono sempre più frequenti, veloci, continue, il lavoro ibrido mescola spazi di vita privata con la vita lavorativa e il cliente e il fornitore si trasformano spesso in partner d’impresa. Si sperimenta la certezza dell’incertezza, tipico dei fenomeni emergenziali: ciò che ora è efficace, potrebbe esserlo per un tempo molto limitato e solo in quella determinata situazione. É proprio questo, a mio avviso, il contesto ideale ove, le parti del sistema organizzativo (persone, competenze, abilità, organizzazione e strategia) possono essere l’elemento fondamentale di fluidità e risposta a situazioni complesse che può essere gestito «solo tramite un analogo aumento della complessità interna» (De Toni F. A., Comello L., Ioan L. 2011, Auto-organizzazioni, Marsilio Editore, 160) Le organizzazioni quindi devono dotarsi di una struttura a rete in grado di sostenere, connettere e (auspicabilmente) integrare, caratteristiche, saperi, esperienze, idee e competenze individuali e collettive. In tale contesto assumono particolare rilevanza coloro che operano a stretto contatto con la quotidianità organizzativa e di mercato, lungo la frontiera tra “sistema azienda” e “sistema esterno”, dove gli stimoli sono continui, le risposte necessarie e autonomia e responsabilità essenziali per gestire le risposte se non addirittura anticipare il cambiamento.

L’integrazione di competenze, di expertise, di processi o più semplicemente di persone portatrici di specificità e quindi di diversità, risulta l’elemento basilare e vincente di questa complessità intrinseca delle organizzazioni e può rappresentarne il fattore differenziale nel mercato attraverso la sua traduzione in strategia e azioni. Il diversity management diviene quindi un percorso quanto mai attuale e necessario quale «approccio diversificato alla gestione delle risorse umane, finalizzato alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, in grado di favorire l’espressione del potenziale individuale e di utilizzarlo come leva strategica per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi» (Barabino M.C., Jacobs B., Maggio M.A. 2001, Il Diversity Management, in Sviluppo & Organizzazione, n.184, 19-31).

Temi di indubbio rilievo sociale quali l’integrazione dei lavoratori stranieri, l’inclusione delle persone disabili, l’attenzione alle condizioni esistenziali delle persone LGBTI+, il gender-gap, l’age management (non solo in termini di invecchiamento della popolazione lavorativa, ma di gestione del mix-generazionale), spingono le aziende a prendere atto e a cercare di comprendere tali cambiamenti sociali. Tutto ciò non può non avere riflessi sulla gestione delle diversità nelle proprie politiche del personale. Le imprese, in altri termini, devono prendere atto che nella società non è più rintracciabile un gruppo omogeneo di persone. Riflettere la complessità della società nell’organizzazione dell’impresa significa contribuire fattivamente al superamento delle discriminazioni, degli stereotipi e dei pregiudizi. L’azienda si candida a diventare un luogo in cui possono emergere ed essere valorizzate le diversità osservabili nella società, attraverso l’adozione di soluzioni originali idonee a gestire tali “diversità” (ivi comprese le competenze) dei lavoratori. Si tratta di un processo di innovazione che può motivare, coinvolgere, trattenere e attrarre i lavoratori.

Molteplici studi a carattere internazionale (Armtrong C., Fllod P.C., Guthrie J. P., Liu W., MacCurtain S., Mkamwa T. 2010, The impact of diversity and equality management on firm performance: Beyond high performance work systems, in Human Resources Management, 49(6), 977-998) hanno reso evidente come la gestione attenta delle diversità possa portare alle aziende benefici economici (riduzione dei costi organizzativi, aumento nelle vendite, nelle quote di mercato e nei profitti, aumento del valore azionario), benefici competitivi (aumento della produttività e dei risultati a livello individuale, di gruppo e organizzativo, migliori relazioni con i clienti) e benefici reputazionali (miglioramento della capacità di employer branding).

«Quanto più è grande la diversità della forza lavoro, tanto più alti sono i profitti e le possibilità di generare valore per l’impresa» (Hunt V., Prince S., Dixon-Fyle S., Yee L. 2018, Report Delivering trought diversity, McKinsey&Company).

Non ci si può nascondere però che l’adozione di politiche di diversity management non è priva di rischi e costi per l’organizzazione: si pensi alla resistenza al cambiamento di chi già fa parte di un certo contesto aziendale, alla necessità di uno spazio temporale sufficiente e non sempre coincidente a quello desiderate, alla difficoltà di comunicazione e cooperazione intra-gruppo,  ai costi organizzativi ed economici per la rivisitazione della strategia, delle politiche HR e di diversity management  (Slater S., Weigand R.A., Zwirlein T.J. 2008. The business case for commitment to diversity, in Business Horizons, vol. 51, 3, 201-209). Ecco perché il diversity management non può essere ridotto a un numero che indichi il livello di inclusività raggiunto. È piuttosto un processo, esito di un’attenta progettazione di politiche e azioni di inclusione che, a partire dal pieno commitment della governance aziendale, passando attraverso lo studio dell’organizzazione (la sua storia, la sua struttura organizzativa e fisica, i suoi dati) trova nel coinvolgimento collettivo di tutti gli attori aziendali la sua attuazione per mezzo di azioni inclusive. In tal modo il quotidiano della vita organizzativa può essere effettivamente trasformato in senso inclusivo.

Una sfida importante anche per i professionisti d’impresa che non possono più trascurare i temi della non discriminazione e dell’inclusione, e devono acquisire la capacità di leggerne le dinamiche nelle norme, nelle prassi e nei dati che guidano l’impresa (Zilli A. 2021, Parità di genere: approvato alla Camera il DDL che introduce la certificazione di parità. Eppur si muove!).

In tale contesto, flessibile, dinamico, basato sulla conoscenza, le organizzazioni assumono sempre più la forma di learning organization ovvero realtà che apprendono, che promuovono la comunicazione e la collaborazione, favoriscono i processi di innovazione e di arricchimento delle competenze attraverso la partecipazione attiva alla vita aziendale stessa. L’organizzazione non è solo “il luogo” dell’apprendimento, ma ha in sé molteplici luoghi di apprendimento, ovvero tutti quei luoghi (spesso informali e occasionali) che agevolano l’incontro e lo scambio di conoscenza, idee ed esperienza e in quanto tali in grado di generare nuovo sapere, innovazione, apprendimento, sviluppo (si pensi alla pausa caffè, alle riunioni, agli spostamenti da un luogo all’altro) realizzando così una comunità di pratica continua. Ciascun collaboratore può avere quindi un ruolo attivo nei processi di sviluppo organizzativo, partecipando attraverso il proprio sapere (anche non codificato) dando vita  al processo bottom-up di partecipazione attiva,  che può diventare l’elemento competitivo aziendale in grado di mettere in stretta connessione la realizzazione dell’individuo (porpouse) con la vision aziendale connessa con un mercato sempre più in frenetica e caotica evoluzione.

Al recente G20 Conference Women’s Empowerment il Presidente del Consiglio Italiano Mario Draghi afferma che ogni perdita di talento femminile è una perdita per tutti. Anche l’organizzazione mondiale delle Nazioni Unite, nell’Agenda 2030, che possiamo considerare una call to action collettiva, pone tra gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile l’Uguaglianza di genere quale base necessaria per un mondo pacifico, prospero e sostenibile e non solo un diritto umano fondamentale.

Un cambiamento che avviene attraverso l’innovazione, la sperimentazione e la partecipazione attiva di ciascuno, realizzando così quella spinta bottom-up che è nelle potenzialità di ciascuna organizzazione e che ora più che mai trova nei contesti complessi non già la sua legittimazione, ma l’alveo ideale per realizzarsi. Le organizzazioni, le imprese tutte, sono parte integrante del sistema sociale e hanno la capacità – finanche il compito – di contribuire allo sviluppo di ogni persona in quanto è proprio nell’organizzazione che si svolge la personalità dell’individuo. Si possono creare in tal modo le condizioni per concretizzare il principio di solidarietà (Art. 2 Cost.) e con esso lo “sviluppo di ogni singola persona umana” (Corte Cost., sent., n.167/1999) andando così a “scardinare barriere, a  congiungere, a esigere quasi il riconoscimento reciproco, e così permettere la costruzione di legami sociali” (Rodotà S. 2016, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Laterza).

Tutto ciò permetterebbe alle organizzazioni di partecipare anche indirettamente al percorso virtuoso di inclusione delle diversità, creando le condizioni perché non solo le persone agiscano i loro pieni diritti e i loro doveri e lo sviluppo di sé, ma creando quel contesto in cui apprendere ed esportare nella quotidianità di vita i principi fondamentali della non discriminazione e della piena e completa rappresentazione di sé attraverso l’agire.

 

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