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L’INAPP presenta il Gender Policies Report 2021

Segnalazioni - Claudia Carchio - 17 Febbraio 2022

 

 

Il 20 dicembre scorso, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) ha presentato i risultati del Gender Policies Report 2021, il rapporto che offre una lettura in chiave di genere del mercato del lavoro italiano.

Quest’ultima edizione del rapporto analizza gli effetti e le implicazioni di genere prodotte dalla pandemia da Covid-19, partendo dalla considerazione che gli strumenti di protezione sociale attivati dal Governo in favore dei lavoratori nelle prime fasi della crisi emergenziale stanno gradualmente esaurendo la propria efficacia, man mano che si intravedono i primi segnali di ripresa.

Guardando alla fase di ricostruzione verso la c.d. “nuova normalità”, il Gender Policies Report 2021 si focalizza sulle politiche necessarie per orientare la ripartenza economica e sociale di lungo periodo, affinché essa sia programmata e attuata per essere equa e inclusiva. Individua, altresì, una serie di misure sulle quali sarebbe necessario investire per il raggiungimento della parità di genere, nonché gli specifici attori che potrebbero contribuire alla loro realizzazione, con una particolare attenzione al ruolo della contrattazione collettiva.

Il report, che si suddivide in due sezioni, dedica una prima parte ad alcuni focus tematici attinenti alle dinamiche di genere nel lavoro (tra cui la situazione complessiva dell’occupazione dopo oltre un anno dall’inizio della pandemia, l’esperienza del corpo docente coinvolto dalla didattica a distanza, il calo della natalità in Italia e il c.d. gender procurement), mentre la seconda parte approfondisce le potenzialità della contrattazione collettiva in chiave di genere, sottolineando l’importanza delle relazioni industriali nel sostenere politiche e interventi a beneficio dell’uguaglianza tra donne e uomini.

Seguendo questo ordine, si esporranno i principali risultati della ricerca.

– La pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto fortemente negativo sulla componente femminile dell’occupazione globale, aumentando le diseguaglianze e i gap esistenti e ostacolando il già lento percorso verso la parità di genere. L’analisi dei dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps relativi ai nuovi contratti attivati nel primo semestre del 2021 mostra, infatti, come, nella fase della c.d. ripresa occupazionale, le criticità strutturali del mercato del lavoro, che vedono penalizzate le lavoratrici soprattutto in alcune specifiche fasce di età, non solo non sono state superate, ma si sono acuite.

Dei nuovi contratti sottoscritti la maggior parte coinvolge uomini e quelli conclusi dalle donne sono soprattutto atipici e discontinui (lavoro a termine, stagionale, intermittente, somministrato e apprendistato). Un ruolo crescente assume, poi, il part time involontario, cioè non basato sulla libera scelta del/la lavoratore/ice, ma proposto come unica condizione per l’accesso al lavoro, che riguarda principalmente la componente femminile nelle classi di età 30-50 e over 50, quelle cioè in corrispondenza della quale essa risulta maggiormente occupata in attività di cura, rispettivamente dei figli e dei parenti anziani.

Tali fenomeni vengono principalmente ricondotti ai tagli dei costi attuati dalle imprese durante e a causa dell’emergenza. Se, da un lato, quindi, si evidenzia un atteggiamento prudenziale da parte dei datori di lavoro, dall’altro lato, emerge il segnale che la ripresa dell’occupazione non è di tipo strutturale con il rischio che in futuro si assista ad un aumento della povertà lavorativa e all’allargamento delle differenze tra uomini e donne.

– Per quanto attiene allo specifico settore dell’istruzione, anch’esso presenta delle rilevanti peculiarità in ottica di genere. Tale ambito è stato interessato, nel 2020, da una interruzione e, nel 2021, da intermittenti sospensioni delle attività didattiche in presenza, sostituite dalla Didattica Digitale Integrata (DDI), la quale ha determinato un nuovo assetto lavorativo per il corpo insegnante nonché un adattamento del sistema dell’istruzione, in termini tecnologici e professionali.

Utilizzando le prime evidenze di una web-survey online, che ha riguardato i/le docenti impiegati/e nelle scuole secondarie di secondo grado – coloro che sono stati maggiormente interessati dalle nuove modalità organizzative – il rapporto rileva un aumento dello stress lavoro-correlato, principalmente tra le donne che hanno sopportato carichi di cura familiare crescenti parallelamente all’incedere dell’emergenza pandemica. Considerato che la fascia di età più esposta all’incremento dei bisogni di conciliazione è risultata quella tra i 50 e i 59 anni, se ne deduce che l’assistenza abbia riguardato i genitori anziani e gli altri familiari più che i figli minori.

In aggiunta, l’inadeguatezza degli strumenti necessari all’espletamento delle lezioni in modalità sia sincrona che asincrona, è considerato uno dei fattori causa del deterioramento della qualità ed efficacia dell’attività di lavoro.

–  L’andamento della demografia in Italia subisce da decenni un processo di declino, che, tuttavia, la pandemia ha aggravato in ragione dell’aumento della mortalità, del calo dei flussi migratori e degli effetti indiretti sui progetti di vita futura delle persone.

La pertinenza del tema agli studi di genere è sottolineata dalle risultanze secondo cui le difficoltà e le incertezze determinate dalla crisi hanno indebolito la progettualità per la costruzione di nuove famiglie e hanno determinato un vero e proprio “baby bust”, ossia un drastico calo delle nascite dovuto alla instabilità lavorativa ed economica, all’assenza di politiche di work life balance, ai bassi tassi di copertura dei servizi di cura e agli scarsi investimenti sui servizi di fecondazione medicalmente assistita.

In tale contesto il rapporto analizza le misure adottato dal Governo a sostegno delle famiglie al fine di evidenziarne le caratteristiche innovative, soprattutto sul versante del potenziamento dei servizi offerti a livello territoriale.

–  La Commissione europea ha introdotto, nell’ambito dei cicli di programmazione per favorire gli investimenti in parità, una strategia innovativa, definita gender procurement, il cui obiettivo è di creare le condizioni affinché vi sia una implementazione della parità di genere nel mercato del lavoro, l’aumento della presenza di donne in posizioni apicali e la riduzione del c.d. gender pay gap. Si tratta di uno strumento per accelerare una crescita economica gender inclusive mediante la promozione della diversificazione di genere delle filiere produttive, che sfrutta l’utilizzo di specifici requisiti o primalità di genere per le imprese e le istituzioni che partecipano agli appalti pubblici, nonché di criteri di aggiudicazione inclusivi di parametri sociali.

Considerato che i principi del gender procurement sono promossi anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano (PNRR) come condizione premiale, il report analizza le caratteristiche e i possibili effetti che tale strumento può determinare e illustra le diverse esperienze già avviate sia a livello internazionale che nazionale (v. i sistemi di programmazione del Ministero delle finanze e delle Regioni Lazio e Puglia).

–  Partendo dal presupposto che l’integrazione della parità di genere assume nel PNRR italiano un ruolo di primo piano, il report evidenzia come, abbandonata la tradizionale logica che vede confinata la questione dell’uguaglianza tra i generi quale corredo delle politiche sociali e di sostegno alla famiglia, essa sia stata posta tra le tre priorità trasversali perseguibili direttamente o indirettamente in tutte le sei missioni del Piano (secondo un approccio gender mainstream). In tale direzione, si sottolinea che l’occupazione femminile è presa in considerazione nell’ambito delle stime degli effetti previsti dell’implementazione del Piano e la quota occupazionale, inserita tra le clausole di condizionalità, rappresenta un requisito obbligatorio per l’esecuzione dei progetti, assurgendo a misura di azione positiva per colmare il divario strutturale dell’occupazione femminile.

–  Il focus sulle relazioni industriali in prospettiva di genere mette in luce il potenziale ruolo del sindacato, il quale, come agente negoziale che opera a livello nazionale e territoriale (aziendale), ha la facoltà non solo di affermare principi e sostenere azioni anti-discriminatorie, ma anche di intervenire sul piano negoziale negli ambiti direttamente correlati al mercato o all’ambiente di lavoro.

Il rapporto, preso atto di come la contrattazione di genere si sia tradizionalmente concentrata, in Italia, sulla previsione di strumenti per la conciliazione vita/lavoro, si sofferma sugli ulteriori margini di intervento che le parti sociali potrebbero sfruttare per svolgere un ruolo strategico e superare le disuguaglianze di genere.

Tra questi, una particolare rilevanza può assumere la contrattazione di secondo livello, laddove interviene nella negoziazione della parte variabile della retribuzione, cioè degli incrementi retributivi correlati alla produttività. In questa prospettiva un particolare approfondimento è dedicato all’analisi dell’incentivo fiscale al premio di risultato e degli indicatori che consentono la misurazione delle performance, muovendo dalla constatazione che, di consueto, questi ultimi si basano su criteri gender blind – quali ad esempio presenza/assenteismo o inclusione/esclusione dei part-timer dalla platea dei soggetti eleggibili – finendo così per determinare esiti differenziati a sfavore delle donne.

L’utilizzo di indicatori che valorizzano elementi spazio-temporali e condizionano ad essi gli incrementi retributivi correlati alla produttività, assumono una valenza di genere in quanto capaci di penalizzare le lavoratrici, presenti sul luogo di lavoro in modo più discontinuo a causa del lavoro di cura.

Contribuisce, poi, egualmente ad aumentare i differenziali retributivi la possibilità, prevista ex lege, di convertire il premio di risultato in misure di welfare, giacchè la prevalente trasformazione del premio di risultato in strumenti di work life balance rischia di trasporre, sul piano salariale, le dinamiche sociali e culturali che considerano il lavoro di cura quale prerogativa principalmente femminile.

Il connesso approfondimento sul tema del salario minimo legale pone in rassegna gli studi sulle esperienze che a livello europeo hanno prodotto effetti di genere conseguenti l’introduzione di tale vincolo per poi offrire una panoramica del dibattito nazionale su tale istituto e riflettere sui potenziali effetti della sua istituzione in termini di uguaglianza retributiva.

La previsione del salario minimo legale, infatti, incide sulle disuguaglianze salariali e reddituali ha delle implicazioni di genere connesse principalmente alle caratteristiche della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Le donne si collocano, in misura maggiore rispetto agli uomini, al fondo della gerarchia salariale, essendo così esposte ad un maggior rischio di povertà e risultando le principali destinatarie, assieme ai giovani, del salario minimo.

Il Gender Policies Report, dopo aver ripercorso le tappe del riconoscimento formale dei diritti civili delle persone LGBTIQ (lesbiche, gay, bisessuali, trans/persone non binarie, intersessuali e queer), si conclude con la proposta di includere in futuro anche l’identità di genere e gli orientamenti sessuali tra le prospettive di analisi e interesse dell’attività di negoziazione, rendendoli oggetto degli accordi di contrattazione collettiva integrativa.

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