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Insegnanti di religione: no dalla U.E. a ripetuti contratti a termine

Giurisprudenza - Anna Piovesana - 3 Febbraio 2022

La successione di contratti a tempo determinato per gli insegnanti di religione non configura una discriminazione fondata su motivi religiosi o sulla durata determinata del rapporto, ma può comunque costituire un abuso vietato ex art. 5 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato. Lo ha statuito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 13.01.2022 C-282/2019.

Il caso oggetto della pronuncia è quello di alcuni insegnanti di religione cattolica, impiegati presso istituti di istruzione pubblica, da svariati anni, mediante plurimi contratti a tempo determinato di durata annuale (ex art. 309 d.lgs. 297/1994). Ritenendo che tale successione di rapporti a termine fosse illegittima e constatando di non aver potuto beneficiare del meccanismo di immissione in ruolo previsto dallart. 399 d.lgs. 297/1994, gli insegnanti adivano il Giudice del lavoro, lamentando di essere vittime di una discriminazione rispetto ai docenti di altre materie. Chiedevano, quindi, la conversione dei loro contratti da tempo determinato a tempo indeterminato o, in subordine, il risarcimento del danno subìto.

Il Giudice del lavoro constatava che nessuna delle domande dei ricorrenti poteva essere accolta sulla base del diritto italiano, considerato che:

  • pur avendo i ricorrenti lavorato per effetto di plurimi contratti a termine per un periodo superiore a 36 mesi, l’articolo 36, comma 5, d.lgs. 165/2001 escludeva nel settore del pubblico impiego la possibilità di convertire il rapporto a tempo indeterminato;
  • sebbene la successione continuativa di contratti di lavoro a tempo determinato oltre i 36 mesi potesse, in forza dell’art. 36, comma 5, d.lgs. 165/2001, essere sanzionata mediante il risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa di tale successione, l’art. 10, comma 4-bis, d.lgs. 368/2001 escludeva tuttavia una simile possibilità nel settore dell’insegnamento (previsione ribadita, anche nell’ 29, comma 2, lett. c d.lgs. 81/2015).

Considerato, poi, che i ricorrenti non avevano potuto beneficiare dell’immissione in ruolo con contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 399 d.lgs. 297/1994, ovvero in forza della l. 107/2015, il Giudice del lavoro concludeva che nel diritto italiano non esiste, per gli insegnanti di religione cattolica impiegati presso istituti pubblici, alcuna misura di prevenzione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti a termine.

Il magistrato italiano decideva, quindi, di sottoporre alla Corte Giustizia la questione della compatibilità della normativa italiana con l’ art. 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (Misure di prevenzione degli abusi) nonché con il divieto di discriminazione fondata sulla religione, previsto dall’art. 4 del predetto Accordo. Chiedeva poi alla Corte di precisare se la necessità di un titolo di idoneità, rilasciato da un’autorità ecclesiastica, che devono possedere gli insegnanti di religione cattolica per insegnare, costituisca una «ragione obiettiva», ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a) dell’Accordo quadro, che consenta di giustificare il rinnovo illimitato di tali contratti a termine. Il giudice, infine, chiedeva alla Corte quali siano le conseguenze da trarre, in campo sanzionatorio, nel caso in cui la normativa italiana risultasse in contrasto con quella europea.

La Corte di Giustizia, nella sentenza del 13.01.2022, ha anzitutto escluso che la fattispecie sottoposta al suo esame configuri una discriminazione fondata sulla religione, ai sensi della direttiva UE 2000/78. Secondo la Corte, infatti, la normativa italiana priva gli insegnanti di religione cattolica della scuola pubblica della possibilità di convertire il loro contratto di lavoro a tempo determinato in uno a tempo indeterminato e/o di ottenere il risarcimento del danno subìto, non già, in considerazione della loro religione, bensì, al pari dei docenti di altre materie, per il fatto che essi rientrano nel settore dell’insegnamento pubblico. La CGUE ha poi evidenziato che se gli insegnanti di religione non hanno beneficiato del piano straordinario assunzioni non è per via del loro credo, ma a causa della durata annuale dei loro incarichi, che non consentiva il loro inserimento nelle graduatorie permanenti. Quindi, secondo la Corte, anche ammettendo che gli insegnanti di religione cattolica delle scuole pubbliche si trovino in una situazione analoga a quella dei docenti a termine di altre materie e che solo questi ultimi abbiano beneficiato del piano straordinario assunzioni, una simile differenza di trattamento non è fondata sulla religione, ma riguarda soltanto la disciplina applicabile al rapporto di lavoro.

Per quanto concerne, poi, la valutazione di compatibilità della normativa italiana con il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 dell’Accordo Quadro, la Corte ha osservato, anzitutto, che la circostanza per cui i docenti di religione, a differenza degli altri insegnanti, non possono beneficiare di una conversione del loro contratto a tempo indeterminato, costituisce una differenza di trattamento tra due categorie di lavoratori a termine. Conseguentemente, tale situazione non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4 dell’Accordo quadro, perché quest’ultima norma vieta differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato. Pertanto, il giudice del rinvio non può disapplicare le norme nazionali in questione sulla base del predetto art. 4.

Con riferimento, poi, alla clausola 5 dell’Accordo quadro (Misure di prevenzione degli abusi), la Corte di Giustizia ha dichiarato che tale disposizione osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esistano altre misure effettive nell’ordinamento giuridico interno che sanzionino detto ricorso abusivo. Spetta sempre al giudice nazionale valutare tale circostanza.

La CGUE ha, infine, evidenziato che il settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica è caratterizzato da incertezza della domanda da parte dell’utenza, essendo la religione una materia facoltativa (art. 9 comma 2 l. 121/1985 di Ratifica ed esecuzione del Concordato). Non può quindi escludersi che il predetto settore “richieda un costante adeguamento tra il numero di lavoratori impiegati e il numero di potenziali utenti”. Ciò comporta, per le scuole, esigenze provvisorie in materia di assunzione che, in linea di principio, possono costituire una “ragione obiettiva” per ricorrere ad una successione di contratti a termine (ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a dell’Accordo quadro). Per evitare abusi, è però indispensabile verificare concretamente che il rinnovo o la successione di contratti con gli insegnanti di religione soddisfi esigenze provvisorie e non miri, invece, a soddisfare bisogni permanenti del datore di lavoro in materia di personale.

Orbene, la Corte ha affermato che, nel caso sottoposto al suo vaglio, i diversi contratti a tempo determinato che legavano i lavoratori ricorrenti al loro datore di lavoro avevano dato luogo allo svolgimento di mansioni simili per vari anni, cosicché si poteva ritenere che tali rapporti di lavoro avessero soddisfatto un fabbisogno duraturo. Spetta al giudice del rinvio verificare anche tale profilo.

 

 

 

Per approfondire

CGUE 13.01.2022 C- 282/2019

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