Il welfare italiano sul banco degli imputati: aperte due procedure europee di infrazione
Nel mese in cui si celebra la Giornata Internazionale della Giustizia Sociale, la Commissione Ue ha aperto due distinte procedure di infrazione nei confronti dell’Italia aventi ad oggetto due delle più importanti prestazioni di sicurezza sociale: Reddito di Cittadinanza e Assegno Unico Universale.
Le vicende che hanno portato il welfare italiano sul banco degli imputati per violazione del diritto comunitario prendono avvio con la denuncia presentata alla Commissione europea da ASGI, NAGA, APN e l’Altro diritto nel novembre del 2020, con la quale si chiedeva a Bruxelles di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia.
Per quel che attiene al reddito di cittadinanza, la censura mossa allo Stato italiano riguarda specificatamente il requisito dei 10 anni di residenza in territorio nazionale. La Commissione ha infatti dichiarato a mezzo comunicato stampa del 15 febbraio 2023 che “Secondo il Regolamento 2011/492 e la Direttiva 2004/38/CE le prestazioni sociali come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori dipendenti, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza. Anche i cittadini dell’UE che non lavorano per altri motivi dovrebbero essere ammessi al beneficio, con l’unica condizione di risiedere legalmente in Italia da più di tre mesi.“ La messa in mora (INFR(2022)4024) dell’Italia nasce pertanto dalla discriminazione indiretta operata tanto a danno di cittadini non italiani privi del possesso di un così lungo periodo di iscrizione anagrafica, aggravata dalla maggiore probabilità di non soddisfare il requisito, quanto di cittadini italiani in determinate situazioni lavorative. Si legge infatti nel comunicato prima richiamato “il requisito dei 10 anni di residenza si qualifica come discriminazione indiretta, poiché è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio. Infine, il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavorare fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al loro rientro in Italia”.
La messa in mora pertanto trova fondamento nella constatazione che il regime adottato dallo stato italiano non è in linea con il diritto dell’UE in materia di libera circolazione dei lavoratori, diritti dei cittadini, soggiornanti di lungo periodo e protezione internazionale. In particolar modo, va precisato che i soggiornanti di lungo periodo e i beneficiari di protezione internazionale sono parificati ai cittadini italiani sicché il negato accesso alle misure di sostegno al reddito si pone in aperta violazione rispettivamente delle direttive 2003/109/CE e 2011/95/UE.
La seconda procedura di infrazione, (INFR(2022)4113), è quella che riguarda l’Assegno Unico Universale. Sul tema, Equal, ne aveva già trattato i profili discriminatori.
La misura contestata riguarda il nuovo assegno familiare per figli a carico, cc.dd. “Assegno unico “. Tale strumento di supporto al reddito è stato introdotto con il decreto legislativo n. 230, attuativo della legge delega n. 46 del 2021. Anche in questo caso, tra i requisiti necessari per l’ottenimento del beneficio compare il possesso della residenza in Italia per un periodo pari a due anni nonché la dimostrazione della convivenza con i figli. Secondo la Commissione, tale impianto viola il diritto dell’UE nella misura in cui applica un ingiustificato trattamento differente tra i cittadini dell’UE nonché con cittadini extra UE, il che si traduce in “discriminazione”. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di soggiorno per ricevere prestazioni di sicurezza sociale, come per l’appunto l’assegno familiare.
La procedura accoglie quindi tutte le perplessità che, anche in questa sede, si erano avanzate circa i profili gravemente discriminatori posti in essere dalle istituzioni.
Ora, l’Italia dispone di due mesi per rispondere alle osservazioni sollevate dalla Commissione affinché tali logiche di gravi disparità di trattamento possano essere definitivamente rimosse.
Solo quando si raggiungerà tale parità o quando almeno potremo dire di aver predisposto tutti gli strumenti atti al raggiungimento di siffatto fine potremo parlare scientemente di una vera e piena uguaglianza delle persone e allora celebrare la Giornata Internazionale della Giustizia Sociale non avrà il gusto di traguardi mancati ma deglii obiettivi raggiunti per il benessere delle persone … tutte!