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Il valore della partecipazione organizzativa per il benessere di lavoratori e imprese

Diversity & Inclusion - Stefano Agati - 11 Luglio 2022

Nell’ambito del recente Convegno Cooperazione: la partecipazione come asset strategico ai tempi delle grandi dimissioni e dell’incertezza  la riflessione interdisciplinare si è mossa dal concetto di partecipazione organizzativa, declinata nei contesti dell’impresa profit e della cooperazione.

La partecipazione può considerarsi come valore inteso nel suo significato di “concezione del desiderabile, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o caratteristica di un gruppo, che influenza l’azione con la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili» (Kluckhohn, C., Values and value-orientations in the theory of action: an exploration in definition and classification, in T. Parsons e E. Shils (a cura di), Toward a general theory of action, Cambridge, Mass., 1951).

Riguardo la partecipazione organizzativa dei lavoratori, “le ricerche condotte fin qui ci hanno indotto a ritenere che proprio quella fondamentale caratteristica identitaria dell’azienda cooperativa, che è la partecipazione, sia  una risorsa fondamentale per  migliorare le relazioni industriali, e insieme per  responsabilizzare i dipendenti nella ricerca di competitività e di sviluppo di fronte alla competizione internazionale […] che si concretizza attraverso strumenti, come ad esempio il lavoro in team, i suggerimenti dal basso, la lotta agli sprechi, [la partecipazione organizzativa] è una forma di partecipazione che da un lato integra e completa le forme di partecipazione più istituzionalizzate e dall’altro meglio si presta a migliorare la produttività e a corrispondere a esigenze profonde di valorizzazione del lavoro e di autorealizzazione dei lavoratori” (Ricciardi M., Osservatorio sulla partecipazione dei lavoratori all’impresa, Studi e ricerche, 2018).

La partecipazione organizzativa deve sostenere sfide cruciali come “l’employee retention”, cioè il fenomeno delle dimissioni di massa, e “l’employee experience”, vale a dire tenere conto della rilevanza e della centralità delle persone per sostenere la continuità e la crescita.

Per stimolare la partecipazione dei lavoratori, l’organizzazione dovrà saper riconoscere la competenza professionale delle risorse umane e saper dare forma alle professionalità,  dovrà inoltre saper coniugare i valori sociali con le variabili organizzative, come le strategie verso il cliente interno (il welfare aziendale), la percezione degli stakeholders (la reputazione, la storia), la struttura di base (organigramma e ruoli) e i meccanismi operativi (integratori di informazione e comunicazione, di guida e controllo, di gestione delle risorse umane) influenzando positivamente i processi sociali in atto. Si dovranno monitorare le fasi del ciclo di vita dell’organizzazione e del mix delle funzioni manageriali (Produttiva, Amministrativa, Imprenditoriale ed Integrativa) al fine di mantenere vivo un cambiamento organizzativo per spinta e non per inerzia.

Uno stile di leadership, non necessariamente carismatico e/o trasformazionale, ma soprattutto situazionale porterà al team working e quindi alla partecipazione operativa. Team working significa condividere le informazioni per creare senso di responsabilità, condividere più informazioni per creare senso di fiducia; definire i limiti per focalizzare l’azione e ampliare i limiti per promuovere libertà d’azione; operare in squadra per promuovere impegno comune e assumere decisioni condivise per creare senso di potere (Blanchard K. et al., Un, due, tre squadra, Sperling & Kupfer Editori, Milano,2005).

Etica, Morale, Deontologia e Fiducia dovranno rappresentare le basi del partecipare e dell’agire aziendale.

Con il termine Etica si intende “ciò che è considerato buono, l’aspirazione a una vita compiuta”, e con quello di Moralela definizione di questa aspirazione in norme caratterizzate da una dimensione di universalità e da un effetto di costrizione”, mentre la Deontologia o scienza della moralità rinvia al concetto di “comportamento idoneo al fine” nell’ambito professionale.

George Simmel tratta la Fiducia come categoria specifica d’analisi. Si tratta sempre di una presenza intrecciata con concetti di: legittimità, consenso, cooperazione, solidarietà. Il concetto di Fiducia intrinseca tutte queste dimensioni, ma non si confonde con esse (Mutti A., Fiducia, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, voI. 4, pp. 79-87).

L’Infant-research ha dimostrato come le capacità relazionali e sociali del bambino si sviluppano appena egli nasce (Stern D., The presente moment in psychotherapy and everyday life, New York: Norton, 2004) e come i figli di genitori responsivi sviluppano la fiducia di poter investire sul mondo, riducendo le inquietudini che conducono ad atteggiamenti di chiusura, rifiuto e scetticismo.

La fiducia sistemica o impersonale si manifesta quando il destinatario di tale aspettativa è costituito dall’organizzazione naturale e sociale nel suo insieme o nelle sue singole espressioni istituzionali e collettive. Emile Durkheim definiva la fiducia elemento precontrattuale della vita sociale, quella solidarietà di base, quell’accordo cooperativo implicito, morale e cognitivo, che tiene insieme la società. Mentre la fiducia personale o interpersonale si manifesta quando il destinatario è costituito da attori individuali.

Il processo comunicativo (elemento soggettivo) è parte del contenuto dell’aspettativa fiduciaria, riguardo le modalità non opache, non ambigue, né distorte o manipolate della comunicazione in generale e della trasmissione di informazioni che riguardano più in particolare gli attributi del destinatario (elemento oggettivo) della fiducia, nonché la natura e l’estensione degli attributi stessi (Mutti A., Fiducia, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, voI. 4, pp. 79-87; Di Nicola P., Dalla società civile al capitale sociale. Reti associative e strategie di prossimità. FrancoAngeli, Milano, 2006).

La fiducia interpersonale e sistemica interpretano dunque due atteggiamenti fondamentali nella relazione sociale. La fiducia non è solamente un’azione richiesta per realizzare scopi in un ambiente che non possiamo controllare rigorosamente, ma emerge come qualità della comunicazione che arricchisce il legame sociale di una particolare libertà, la libertà di poter fare promesse” (Di Nicola P., Dalla società civile al capitale sociale. Reti associative e strategie di prossimità. FrancoAngeli, Milano, 2006).

Come dice Simmel, la fiducia personale, una volta concessa e resa esplicita, attiva una relazione sociale, di cui vanno analizzati i tratti specifici. La fiducia che riceviamo deve essere onorata perché contiene un pregiudizio quasi coercitivo, e deluderla richiede già una cattiveria deliberata. “L’atto fiduciario comporta, dunque, il coinvolgimento non solo di colui che dà fiducia, ma anche di colui che la riceve, il quale deve dimostrare di essere degno della fiducia ottenuta” (Mutti A., Fiducia, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1994, voI. 4, pp. 79-87).

 

 

 

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Stefano Agati è Sociologo professionista, membro del Direttivo Nazionale Associazione Nazionale Sociologi, Presidente Onorario e Past President ANS Dipartimento Regione Veneto.
Dottore magistrale in Psicologia dell’Educazione e in Sociologia ad indirizzo Psicologico.
Docente, specialista senior Formazione e sviluppo risorse umane
Counselor Relazionale Professional Trainer, iscritto al n. 369 del Registro AN.Co.Re.
Già Professore a contratto nell’Università degli Studi di Padova

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