BLOG

Il nuovo processo di famiglia per il contrasto alla violenza di genere

Attualità - Pina Rifiorati - 27 Febbraio 2023

di Pina Rifiorati, Avvocata in Udine e Presidente del Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati

 

Il fenomeno della violenza sulle donne trova maggiore diffusione nell’ambito delle relazioni familiari e sentimentali tanto che la tutela contro la violenza domestica è dirimente anche nell’ambito dei giudizi civili e minorile sull’affidamento dei figli e comunque attinenti all’esercizio della responsabilità genitoriale.

Il numero di denunce ancora troppo basso in ordine a tali reati – come da ultimo denunciato anche dal Grevio [1] – è infatti legato non solo al difficile percorso che le attende le donne nell’ambito del giudizio penale, ma anche al timore concreto di vedersi allontanate dai propri figli quali supposte genitrici incapaci di attendere alle proprie funzioni.

La necessità che la violenza trovi adeguata tutela anche in sede civile ha finalmente assunto una rilevanza istituzionale grazie alla Commissione d’Inchiesta sul Femminicidio, istituita al Senato nella scorsa legislatura [2] che, nel maggio 2022, ha licenziato una Relazione su La vittimizzazione secondaria che le donne subiscono insieme ai figli nei procedimenti di famiglia. Si tratta di un complesso e articolato lavoro, esito dell’esame di ben  1411 fascicoli relativi a procedimenti di affidamento della prole o di decadenza della responsabilità genitoriale, celebrati sia dinanzi al Tribunale ordinario sia dinanzi al Tribunale per i Minorenni, iscritti a ruolo dal 2017, con l’individuazione di 36 casi definiti emblematici, relativi a vicende familiari connotate da violenza domestica, fisica, psicologica ed economica.

Da questa analisi emerge che vi è una tendenza ancora troppo diffusa a relegare i comportamenti violenti nell’ambito di un generico conflitto familiare.

E’ utile evidenziare che – mentre il conflitto è una dimensione inevitabile di ogni separazione nell’ambito della quale le diverse esigenze e i contrapposti interessi delle parti possono essere discussi su un piano di parità – gli agiti violenti si estrinsecano nella sopraffazione di un partner sull’altro/a e determinano nella persona sopraffatta una posizione di soggezione fisica e/o psicologica rispetto all’altro/a. Riconoscere e valutare le dinamiche violente, esistenti nella coppia, risulta dunque essenziale per assicurare un’adeguata tutela alla vittima, la quale, proprio per la sua condizione, non è in grado di prendere parte su un piano di parità a eventuali tentativi di transazione.

Proprio alla luce della predetta distinzione, gli agiti violenti non possono essere mai declassati a conflittualità genitoriale, anche al fine di evitare qualsiasi forma di vittimizzazione secondaria. Un rischio quest’ultimo sempre ricorrente ogniqualvolta il procedimento si svolge secondo procedure standardizzate, senza attuare le cautele opportune quali, ad esempio, l’affidamento condiviso e qualunque contatto autore-vittima.

La magistratura e l’avvocatura hanno ignorato per troppo tempo il divieto di “consensualizzare” la violenza previsto dall’art. 31 della Convenzione di Instanbul[3].

Opportunamente, quindi, il nuovo processo di famiglia – che entrerà in vigore fra pochi giorni – ha recepito il lavoro della Commissione, dedicando una sezione ad hoc alla violenza domestica e di genere (Capo III, Sezione I – artt. 473-bis.40/473-bis.46) che  prevede una disciplina specifica che esclude – fra l’altro – il ricorso alla mediazione familiare.

In tale ambito, la relazione ha affrontato anche il tema della cd. sindrome di alienazione parentale (Pas – Parental Alienation Syndrome), preteso disturbo psicologico disfunzionale che si manifesterebbe nei figli minori coinvolti in contesti conflittuali di separazione e divorzio dei genitori. Con apparente approccio scientifico, grazie alla PAS troppo spesso si attribuisce alle madri la responsabilità del rifiuto del figlio a incontrare il padre e se ne dispone l’affido esclusivo a questi o – peggio – il collocamento in comunità. Tutto ciò, senza procedere all’ascolto del minore e sulla base delle sole risultanze della CTU, normalmente disposta prima di qualsiasi attività istruttoria.

A tal riguardo, la Relazione fornisce dati allarmanti. Nel 90% dei casi le madri sono considerate malevoli, disfunzionali, manipolatrici, pur in assenza di qualsivoglia riferimento scientifico e diagnosi patologica rinvenibile nel Manuale DSM5 (Manuale Diagnostico Scientifico Disturbi Mentali). Solo nel 30% dei casi esaminati è stato disposto l’ascolto del minore, delegando l’incombente al CTU o ai Servizi. In tali casi, non vi è quasi mai un mandato che faccia  riferimento alla violenza (solo il 19% dei quesiti fa riferimento alla violenza), e manca la valutazione diretta del Giudice: si preferisce una videoregistrazione, oppure si inserisce l’esito dell’ascolto fra le valutazioni psicologiche, con un inevitabile effetto di filtro su quanto affermato dal bambino. Solo nel 7,8% dei casi è il Giudice ad ascoltare direttamente il bambino.

Per questa china scivolosa, si può giungere perfino a incaricare le forze dell’ordine del prelievo forzato dei figli – strappati letteralmente dalle braccia delle madri o prelevati da scuola davanti a compagni e insegnanti – con rituali traumatizzanti per i bambini, difficili da elaborare. Tale modalità di procedere è stata di recente stigmatizzata dalla stessa Suprema Corte con la sentenza 24.03.2022, n. 9681 che ha ritenuto la cd. “esecuzione coatta dei provvedimenti di affidamento esclusivo” – consistenti nell’uso di una certa forza fisica diretta a sottrarre il minore dal luogo ove risiedeva con la madre per collocarlo in casa famiglia – misura non conforme ai principi generali dello stato di diritto che si fonda, come noto, anche sulla dignità e il rispetto della persona, ancor più se minore di età. Anche grazie a tale pronuncia, il nuovo art. 473-bis.38 c.p.c. detta regole precise per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento.

La Sindrome di alienazione parentale, sulla quale si costruiscono le pretese disfunzionalità genitoriali materne – come i dati della Relazione ci mostrano con chiarezza – trova ancora spazio nei nostri Tribunali Ordinari e per i Minorenni che l’assumono come elemento decisivo e fondante i provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale. E ciò, nonostante la Suprema Corte ne neghi la valenza scientifica con un’interpretazione costante e omogenea.

Da ultimo, la Suprema Corte si è pronunciata con la sentenza 17.05.2021, n. 13217 che, in linea con le ultime pronunce della Suprema Corte (per tutte: Cass. 13274/2019), in riforma di una decisione della Corte d’Appello Venezia, decreto 16.12.2019 – ha negato valenza alla PAS in quanto il giudice di secondo grado ha stigmatizzato la madre non in quanto madre inadeguata, ma per il suo carattere e per un pregiudizio sulle donne. La Cassazione le attribuisce il carattere di una sorta di “colpa di autore”, anzi di autrice, teoria nazista in base alla quale la responsabilità discende non tanto dal fatto commesso, bensì dal modo d’essere dell’autore. Esperti e giudici (così anche la Corte di Appello di Venezia riformata dalla Suprema Corte) la denominano “sindrome della madre malevola”, facendo così emergere chiaramente il suo fondamento discriminatorio che stigmatizza solo le genitrici con lo scopo di allontanarle dai figli.

Queste pronunce rappresentano un importante passo verso la sconfessione della PAS o alienazione parentale che tanti danni sta provocando, rischiando di trasformare il principio del primario interesse del minore in quello prevalente di uno dei genitori a scapito dell’altro, quasi sempre la madre, e l’auspico è  che tale pronuncia sia la partenza per un nuovo equilibrio nelle decisione dei nostri tribunali nell’interesse “vero” dei minori e non per strumentalizzarli cavalcando finte parità di trattamento e pregiudizi secolari..

Anche sotto questo aspetto, la giurisprudenza della Suprema Corte trova riscontro nella Riforma che entrerà in vigore il 1 marzo p.v., in base alla quale i ctu e i servizi devono lavorare utilizzando metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica (art. 473-bis.25 c.p.c.), con ciò escludendo, ci si augura definitivamente, il ricorso alla PAS.

Gli aspetti finora analizzati non sono però gli unici a rendere necessaria un’attenta valutazione della violenza domestica. Infatti, un altro pregiudizio sul quale è necessario lavorare è la convinzione, di cui sono portatrici anche le madri, che l’uomo violento possa essere un buon padre, sicché o non denunciano od omettono di far emergere gli agiti violenti, finendo per accettare una soluzione consensuale, che in tale contesto è solo subita e non scelta.

Altro profilo degno di analisi è il fenomeno della c.d. violenza assistita[4], che costituisce una circostanza aggravante autonoma in seguito all’entrata in vigore del Codice Rosso. Le aggressioni fisiche e verbali di un genitore sull’altra in presenza dei bambini causano un danno grave a questi ultimi, privati come sono del diritto di crescere in un ambiente che ne permetta uno sviluppo psico-fisco equilibrato e sereno. Senza mancare di ricordare che, in base agli studi socio-pedagogici, il minore che assiste a episodi violenti con alta probabilità da adulto riprodurrà tale violenza o la subirà più facilmente.

In questi casi, il giudice civile dovrà disporre gli incontri con modalità protetta a cura e onere dei servizi territorialmente competenti, suggerendo o invitando il genitore maltrattante a “valutare” la necessità di intraprendere un percorso a sostegno della genitorialità e di consapevolezza del proprio comportamento.

A corredo di tutto quanto fin qui discusso, è bene ricordare che la bigenitorialità non dovrebbe essere mai un postulato assoluto ma presuppone il possesso di adeguate capacità genitoriali che sono certamente pregiudicate in modo grave in capo al genitore che ha agito violenza. Essa deve intendersi come un obiettivo a cui aspirare  e deve senz’altro retrocedere – temporaneamente o in via definitiva, a seconda dei casi – laddove non corrisponda al benessere psico-fisico del bambino.

Il nostro ordinamento è stato definito dalla Commissione come normalmente incapace di intercettare la violenza a causa dei pregiudizi che vengono ancora messi in campo e che condizionano – se non determinano – la decisione del Giudice.

A fronte di un quadro normativo adeguato e sufficiente[5], trattandosi di un fenomeno a forte caratterizzazione culturale e sociale, i pregiudizi e gli stereotipi nei confronti delle donne ancora così diffusi nel nostro Paese, possono pregiudicare e/o condizionare la protezione delle vittime. E’ dunque dirimente una formazione specialistica affinchè Magistratura, Avvocatura, Forze dell’Ordine, Periti, Servizi sociali siano in grado di riconoscere la violenza domestica e di contrastarla con strumenti adeguati.

 

 

 

[1] G.R.E.V.I.O. – organismo indipendente del Consiglio d’Europa – Gruppo di esperti sulla violenza di genere che si occupa di monitorare sull’applicazione della Convenzione di Istanbul ha denunciato la persistenza degli stereotipi di genere e la resistenza della società italiana a perseguire la causa dell’uguaglianza fra i sessi.

[2] L’attuale legislatura ha nuovamente istituito la Commissione di Inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza  sulle donne e i minori con composizione bicamerale.

[3] La Convenzione di Instanbul – Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica sottoscritta l’11.05.2022 – è stata recepita nel nostro Paese con la legge n. 77/2013 ed  è in vigore dal’1.08.2014. Art. 31:

[4] La violenza assistita nella definizione del CISMAI  (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) si traduce nel “ fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”

[5] Come riconosciuto da ultimo anche dalla CEDU, sentenza JLc/Laghi 27.05.2021: “(…) i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana possono ostacolare la tutela effettiva delle vittime di violenza, ancorchè nell’ambito di quadro legislativo soddisfacente”.

Potrebbe interessarti anche