Il medico discriminato deve essere risarcito: ancora dubbi su come e quanto
La sanità si conferma un ambiente di lavoro attraversato da molteplici tensioni.
Ne è esempio la vicenda di un medico, dipendente di un’Azienda sanitaria toscana, il quale subiva plurimi comportamenti vessatori e discriminatori da parte del proprio primario, culminati nella scelta da parte del dirigente di struttura, come suo sostituto, di un collega più giovane e meno esperto del predetto medico.
La vessatorietà e discriminatorietà dei comportamenti perpetrati nei confronti del medico da parte del dirigente di struttura venivano riconosciuti dal Tribunale, che condannava l’Azienda sanitaria al risarcimento del danno ex artt. 2087 e 2049 c.c..
La sentenza veniva appellata e i giudici di seconde cure, se da un lato confermavano la discriminatorietà della condotta posta in essere dal primario nei confronti del medico, dall’altro, condannavano l’Azienda sanitaria al pagamento di un risarcimento del danno non patrimoniale in misura ridotta, rispetto a quanto liquidato dal giudice di primo grado, alla luce delle tabelle in uso, integrate dalla componente del danno c.d. morale e considerata l’unitarietà del danno non patrimoniale. I giudici escludevano, poi, che fosse dovuto il risarcimento del danno patrimoniale da mancata qualificazione, riconosciuto, invece, dal giudice di prime cure, per l’assenza, in relazione alla mancata designazione come sostituto del primario, di danni economici e per la mancanza di possibili sviluppi di carriera, considerata la prossimità alla pensione del medico.
Per la cassazione di tale decisione proponeva ricorso il medico e ricorso incidentale l’Azienda sanitaria.
La Suprema Corte, nell’ordinanza n. 20384 del 24 giugno 2022 in commento, ha confermato la bontà della decisione dei giudici d’Appello nella parte in cui avevano accertato e dichiarato la discriminatorietà della condotta del primario ospedaliero nei confronti del medico in questione. Il particolare, la Suprema Corte ha precisato che la mancata scelta predetto medico, come sostituto del primario, così come tutti gli ulteriori comportamenti da quest’ultimo tenuti nei confronti del primo, descritti i atti, si inserivano in un contesto di concreta emarginazione del medico, volto a dare del predetto lavoratore l’immagine di un incapace persino nei confronti dei propri familiari. La Corte ha altresì precisato che risultava anomalo ed irragionevole il mancato intervento compositivo di tale situazione da parte dell’Azienda che, colpevolmente, era rimasta inerte rispetto a comportamenti sicuramente lesivi delle prerogative personali e professionali del ricorrente principale.
La Cassazione ha poi confermato la correttezza della pronuncia d’appello anche in punto di danni. In particolare, con riferimento al mancato riconoscimento del danno patrimoniale, secondo la Corte, il ricorrente principale non aveva dato conto dell’eventuale erroneità di quanto statuito dai giudici d’appello.
In relazione all’accertata riduzione del danno non patrimoniale, la Cassazione ha evidenziato che il carattere unitario della liquidazione preclude la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo restando, però l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità dell’atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione. Detta valutazione, secondo la Cassazione, era stata correttamente eseguita dalla Corte territoriale applicando le tabelle del Tribunale di Milano che includono nel punto base la componente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione subita.
Sulla scorta di quanto sopra, la Suprema Corte ha rigettato tanto il ricorso principale, quanto il ricorso incidentale, con compensazione tra le parti delle spese di lite.
L’ordinanza in commento si segnala da un lato, per la peculiarità della fattispecie concreta affrontata, inserendosi la condotta discriminatoria in esame in un più ampio contesto di emarginazione e di mobbing e, dall’altro, per le statuizioni in punto di unitarietà del danno non patrimoniale e di non duplicabilità delle poste risarcitorie. Sotto quest’ultimo profilo, la pronuncia si pone nel solco del prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (tra molte Cass. 8.06.2015, n. 12594 e Cass. 23.09.2013, n. 21716 che riprendono Cassazione Sezioni Unite 11.11.2008 n. 26972, 26973, 26974, 26975) e di merito (da ultimo, recentemente, il Tribunale Milano, 09.04.2021, n. 1124).