Il lavoro agile per aree interne e piccoli comuni
Lo scorso 18 settembre è stato presentato al Senato il Disegno di Legge Delega n. 879/2023 «per la promozione del lavoro agile nei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti [e] nei comuni delle aree interne, nonché [per il] riconoscimento di un credito d’imposta e [la] istituzione di un Fondo per favorire il lavoro agile nelle aree interne».
Si tratta di un’iniziativa che si pone in stretta continuità con il Disegno di Legge Delega n. 2316/2021 presentato all’inizio della precedente legislatura ([1]), ove era maturata l’idea che la modalità di lavoro agile (ex artt. 18 ss., L. n. 81/2017) potesse costituire una leva per il ripopolamento delle aree periferiche del Paese. Infatti, a fronte della sperimentazione forzata del cd. smart working nel biennio pandemico, già si era inteso valorizzare le iniziative di quei prestatori agili, che, proprio durante l’emergenza, avevano apprezzato il lavoro svolto da remoto (e, in particolare, dalle proprie terre d’origine) in favore di datori di lavoro siti negli agglomerati urbani.
Tale modello di sviluppo territoriale trova oggi pieno compimento nel D.D.L. n. 879/2023, in cui emerge la presa di coscienza che «il lavoro agile dai piccoli comuni e da quelli dalle aree interne può rappresentare uno strumento importante per ripensare complessivamente i rapporti del mondo del lavoro, garantendo una migliore qualità del benessere della lavoratrice e del lavoratore cittadini, e al tempo stesso di riorganizzazione aziendale, ma ancora di più di ripopolamento e di nuovi servizi per garantire i diritti di cittadinanza nei luoghi marginali, favorendo coesione sociale, territoriale ed economica e riducendo le attuali, crescenti disuguaglianze». Dacché, appare evidente come la Delega non sia finalizzata solamente a promuovere lo smart working per arrestare il declino demografico caratterizzante le zone remote e per riqualificarne il mercato del lavoro, ma anche per «creare un nuovo sistema cittadino [grazie] alla versatilità che il digitale garantisce».
In tal senso, le aree interne e i piccoli comuni sono immaginati quali «centri innovativi della vita lavorativa di tutte quelle lavoratrici e di tutti quei lavoratori che sceglieranno, grazie a incentivi pensati per il lungo periodo, di risiedere lontano dalle città metropolitane [per rendere la prestazione da remoto], favorendo un ambiente “a misura di persone”»che stimoli il tessuto socioeconomico locale e che ne riattivi la filiera di beni e servizi.
Il ripopolamento delle aree remote quale (rinnovato) obiettivo per la coesione territoriale
La questione affrontata dal D.D.L. n. 879/2023 non è certo nuova, ma è stata per molto tempo sottorappresentata. L’incessante abbandono delle zone remote da parte di persone in età lavorativa e il conseguente invecchiamento della popolazione ivi residente sono fenomeni rimasti lungamente sullo sfondo delle politiche pubbliche, pur nella consapevolezza degli effetti negativi – su disponibilità di servizi, vivacità del mercato e salvaguardia del patrimonio storico e ambientale – che tali flussi migratori interni portano con sé.
Invero, la riduzione di questi squilibri territoriali è stata al centro dell’operato della Agenzia per la Coesione Territoriale, che già nel 2013 ha avviato la Strategia nazionale per le aree interne (SNAI). Esplicitamente richiamata dal D.D.L. in commento, la SNAI si propone di arginare il declino dei territori periferici, invertendo la tendenza allo spopolamento e alla (annessa) rarefazione delle opportunità di lavoro e dell’offerta dei servizi essenziali. Sostenuta sia dai fondi strutturali europei, sia da risorse nazionali (ex art. 1, c. 13, L. n. 147/2013 e ss. integrazioni), l’iniziativa si muove lungo due direttrici convergenti, che pongono al centro dell’azione la «qualità della vita delle persone»: per un verso, la Strategia intende migliorare l’inclusione sociale e il benessere della popolazione residente; per l’altro, essa ambisce a ripristinare la struttura demografica e la domanda di lavoro nei contesti marginali.
Sul piano operativo, la SNAI ha scansionato e classificato il territorio nazionale in base alla capacità di offerta di specifici servizi essenziali, identificati nell’istruzione, nella salute e nella mobilità. La selezione dei Comuni candidabili alle misure di sostegno è avvenuta mediante una procedura di istruttoria pubblica, che ha valorizzato la maggiore o minore perifericità, in funzione della distanza dai cd. «poli» di offerta dei cennati servizi più prossimi. In tal modo, sono state individuate 72 «aree progetto», a cui è stata affidata – attraverso finanziamenti mirati – la sperimentazione delle singole Strategie d’area.
In un contesto di crescente attenzione verso la riqualificazione e il ripopolamento delle zone remote ([2]), da ultimo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha reclamato una «accelerazione» dei progetti avviati (art. 58, D.L. n. 77/2021), prevedendo, altresì, ingenti investimenti ([3]) per potenziare l’architettura delle infrastrutture – materiali e immateriali – nei vari territori, sì da attarvi e trattenervi persone in età lavorativa. Vieppiù, grazie alle risorse parallelamente stanziate dal Piano per la digitalizzazione del Paese ([4]), l’appiattimento dei divari territoriali pare poter essere affrontato anche da una diversa prospettiva: come proposto dal D.D.L. n. 879/2023, la possibilità di lavorare da remoto in modalità agile (v. infra), ove opportunamente accompagnata, consentirà a chi desideri trasferirsi, rientrare o rimanere nelle aree periferiche del Paese, di mettere a frutto le proprie competenze senza abbandonare il territorio, determinandone il ripopolamento. In tal modo, lo smart working potrà rappresentare un volano nei contesti marginali, sia per il rafforzamento della presenza antropica, sia per la rinascita delle filiere produttive, imprimendo un decisivo salto qualitativo alle politiche di coesione territoriale.
Il contributo del lavoro agile per il benessere di persone, imprese e territori
Benché abbia trovato ampia diffusione applicativa nell’ambito della contingenza pandemica, la modalità di lavoro agileera stata introdotta dal legislatore nel 2017, con l’espresso «scopo di incrementare la competitività [delle imprese] e di agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro [di lavoratrici e lavoratori]» (art. 18, L. n. 81/2017).
La possibilità – stabilita «mediante accordo tra le parti» – di rendere la prestazione lavorativa «in parte all’esterno» dei locali aziendali «senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale» ambisce a essere foriera di benessere per quelle persone che vogliano (e possano) lavorare da remoto, consentendo loro un più flessibile ed efficace bilanciamento fra i propri impegni professionali e personali. Invero, tale modalità organizzativa pare poter incidere positivamente anche sulla reddittività delle imprese, considerando sia il potenziale abbattimento dei costi di struttura e dell’assenteismo, sia l’incremento di produttività individuale asseritamente connesso al miglioramento delle condizioni di lavoro offerte ai dipendenti.
I vantaggi diffusi del lavoro agile, inizialmente immaginati nei termini sopra descritti, sono stati messi in luce più marcatamente nel recente contesto della cd. “Grande Dimissione”, che ha mostrato ingenti flussi di prestatori muoversi da un impiego a un altro, «alla ricerca di condizioni lavorative più favorevoli e appaganti, non soltanto dal punto di vista salariale» ([5]). Infatti, ove si collochi alle origini del fenomeno il disallineamento post-pandemico fra le aspettative dei lavoratori e l’offerta nelle imprese rigidamente organizzate ([6]), ben può intuirsi come questa crisi di attrattività possa essere superata attraverso una maggiore attenzione al benessere delle persone che lavorano, che proprio la modalità agile, inter alia, si presta a garantire ([7]). Così riletto, lo smart working pare idoneo a tradurre gli obiettivi che il legislatore aveva inteso assegnarvi sin dal 2017, migliorando tanto la qualità dell’impiego dei lavoratori, quanto la competitività delle imprese, anche in termini di attraction e di retention.
Vieppiù, oltre a incidere sul benessere di persone e organizzazioni, il ricorso al lavoro agile potrebbe contribuire al ripopolamento dei territori periferici. Infatti, nulla osta a che gli smart workers possano trasferirsi definitivamente nel luogo elettivo, allorché la legge (n. 81/2017) si limita a indicare il requisito della alternanza fra i due segmenti della prestazione resi all’interno e all’esterno dei locali aziendali, senza prevedere le tempistiche dei “rientri in azienda”. Sicché, la possibilità – rimessa all’accordo (individuale, ex lege, o collettivo, per opportunità, v. infra) – che il lavoro in presenza sia alternato alla remotizzazione su base mensile o, addirittura, annuale apre la strada a una nuova versione della modalità agile, idonea a valorizzare l’intenzione di chi preferisca allontanarsi dai centri metropolitani e avvicinarsi allo stile di vita dei piccoli comuni.
Partendo dall’osservazione per cui la contrattazione collettiva, ben da prima dell’entrata in vigore della L. n. 81/2017, ha rappresentato il mezzo per regolare l’istituto, si ritiene che – alla luce delle linee guida post-pandemiche, contenute nel Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile – sia compito delle parti sociali incoraggiare lo smart working(anche) per rivitalizzare le aree periferiche e favorire un’economia più distribuita e meno concentrata nei (soli) contesti urbani.
I contenuti D.D.L. n. 879/2023 nel confronto con la precedente iniziativa legislativa
Il D.D.L. in commento riprende, in larga parte, il testo già presentato nel 2021 per la promozione del lavoro agile nei piccoli comuni, integrandolo con interessanti elementi di novità, figli della duplice intenzione, da un lato, di perseguire la strada intrapresa e, dall’altro, di raggiungere il traguardo nel minor tempo possibile.
Il primo tratto innovativo della nuova Delega emerge sin dalla definizione del suo ambito di applicazione (art. 1), non più limitato «ai comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti [e a quelli] istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti» – come già previsto nel D.D.L. n. 2316/2021 – ma esteso anche «ai comuni delle aree interne». Il nuovo riferimento è, dunque, ben più ampio rispetto a quello accolto dalla precedente iniziativa legislativa, nella consapevolezza che i flussi migratori verso gli agglomerati urbani penalizzino tanto i comuni a bassa densità di residenti, quanto quelli connotati da una rilevante distanza dai poli di offerta dei servizi essenziali, secondo la classificazione della SNAI.
Per quanto concerne, invece, la strategia e i criteri direttivi a cui dovrà ispirarsi l’esecutivo nel dare attuazione alla Delega (art. 2), questi ricalcano la proposta avanzata nel 2021, confermando la fiducia nella doppia leva, fiscale e contributiva, per la promozione e il sostegno del lavoro agile nelle aree individuate. In particolare, il D.D.L. n. 879/2023 ripropone agevolazioni per i «datori di lavoro che promuovono lo svolgimento nei comuni di cui al comma 1 dell’attività lavorativa in modalità agile per un periodo non inferiore a cinque anni», nonché per coloro che avviano, in questi territori, «progetti di riorganizzazione e di riqualificazione degli spazi dell’impresa per favorire il lavoro condiviso fra lavoratrici e lavoratori in lavoro agile» [art. 2, lett. a)]. Parimenti, sono contemplate «detrazioni delle spese documentate per favorire l’acquisto e il recupero di immobili abbandonati» [art. 2, lett. b)], che – anche nell’ottica di sopperire alle problematiche legate alla carenza degli spazi domestici – potrebbero confluire nella costituzione di spazi pubblici di co-working. Altresì, la Delega ripresenta incentivi «per favorire l’insediamento di nuovi residenti», specie per nuclei familiari con indicatore ISEE inferiore ai 40.000 euro [art. 2, lett. c)], prevedendo anche la concessione «di mutui agevolati per gli investimenti necessari a favorir[n]e lo sviluppo tecnologico» [art. 2, lett. d)]. Certamente, una simile prospettazione richiede la preliminare realizzazione (o l’adeguamento) delle infrastrutture necessaire per rendere le prestazioni lavorative da remoto, per cui si individuano ulteriori detrazioni fiscali delle spese sostenute per «la diffusione della rete a banda ultra larga [ai fini dello] svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile» [art. 2, lett. e)]. Trattandosi di incentivi, essi sono rivolti evidentemente alle imprese, andando oltre la SNAI, che si rivolgeva agli enti locali.
Rispetto all’impianto originario del D.D.L. n. 2316/2021, si prevede la «adozione di misure adeguate a facilitare l’accesso dei servizi pubblici essenziali nei comuni di cui al comma 1, ivi inclusi i servizi di welfare» [art. 2, lett. f)]. Questa integrazione disvela la presa di coscienza circa un rilevante limite della precedente proposta legislativa, ove pareva ritenersi che la leva fiscale potesse, da sola, contribuire ad attrarre nuovi residenti nelle zone periferiche del Paese. La distanza dai centri di offerta dei servizi essenziali, che contraddistingue i piccoli comuni e le aree interne rispetto ai centri urbani (v. supra), alimenta, infatti, un circolo vizioso che genera spopolamento e che si ripercuote, a sua volta, nella ulteriore diminuzione dei servizi disponibili. L’idea è, quindi, che, accanto all’incentivo, debbano prevedersi le precondizioni per favorire la vivibilità di questi territori, nell’ottica di renderli maggiormente fruibili e attrattivi, in favore dei residenti (anche potenziali) e del sistema competitivo autoctono. In questi termini, la legge fungerà da impulso per rivitalizzare le aree marginali e restituirvi risorse (umane) funzionali allo sviluppo economico e alla tutela del proprio patrimonio paesaggistico e ambientale.
Il Credito di imposta e il Fondo per favorire il lavoro agile nelle aree interne
Accanto all’insieme di agevolazioni poc’anzi delineato, il D.D.L. n. 879/2023 prevede un credito d’imposta per i datori di lavoro che decidano di avvalersi della modalità di lavoro agile nelle aree individuate, nonché l’istituzione di un apposito Fondo per favorirvi il ricorso (art. 4). Si tratta di due ulteriori novità rispetto allo schema proposto nel D.D.L. n. 2316/2021, che ambiscono a stimolare, attraverso la leva fiscale, la responsabilità sociale delle imprese, in ordine alle finalità (pubbliche) di ripopolamento e rivitalizzazione delle zone periferiche.
In particolare, «al fine di favorire il ricorso al lavoro agile nelle aree interne del Paese, è riconosciuto un credito d’imposta, nel limite di spesa di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026, alle imprese che utilizzano e incentivano il lavoro agile, anche mediante la decentralizzazione di attività di amministrazione generale, marketing, indirizzo strategico, studio, monitoraggio e controllo o altre attività che possono essere gestite in modalità remota mediante lavoro agile, secondo la definizione dei contratti collettivi di lavoro delle categorie merceologiche di appartenenza». Tale beneficio fiscale – utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D. Lgs. n. 241/1997 – sarà erogato su base regionale, considerando la incidenza dei comuni classificati come «periferici e ultraperiferici» nei singoli progetti attuativi della Strategia nazionale per le aree interne, «nonché tenendo conto del livello regionale di disoccupazione giovanile e femminile». Osservando questo secondo parametro, ben si comprende come il D.D.L. in commento collochi l’obiettivo di una rinnovata coesione territoriale all’interno di una più ampia strategia di miglioramento qualitativo del mercato del lavoro locale, all’insegna del contrasto alle discriminazioni e dell’inclusione professionale.
Per la erogazione del suddetto credito d’imposta è «istituito, in via sperimentale, il Fondo per favorire il lavoro agile nelle aree interne del Paese, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026» gravante sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione – programmazione 2021- 2027. Al termine del triennio 2024-2026, il «rifinanziamento del Fondo» avverrà in funzione delle risultanze delle attività di «monitoraggio dellefruizioni del credito d’imposta [e] dell’incremento effettivo del numero di posti di lavoro agile nelle aree interne», nella salda idea che la bontà dell’iniziativa possa valutata solo in ragione dei risultati che questa sarà in grado di produrre.
Brevi rilievi conclusivi
Il D.D.L. qui esaminato coltiva la prospettiva secondo cui i vantaggi diffusi della modalità agile possano investire (non solo le persone e le imprese, ma anche) i territori periferici, in una prospettiva costituzionalmente orientata alla sostenibilità sociale e ambientale (artt. 9 e 41, Cost.), con una particolare attenzione alle zone montane (art. 44, Cost.) ([8]). La tensione è verso la promozione di un modello organizzativo che trattenga o attragga nuovo capitale umano nelle aree remote del Paese e che, in tal modo, consenta di innescare un circolo virtuoso tale da generare impatti positivi sul tessuto sociale ed economia locale.
Il mezzo (giuridico) prescelto per dare forma e sostanza a tale obiettivo viene assegnato a un articolato quadro di agevolazioni di carattere fiscale e contributivo, che i promotori della Delega individuano quale stimolo idoneo a sostenere e incrementare gli spontanei fenomeni di ri-abitazione delle zone remote, che già erano colti già in tempi pre-pandemici. Vi è, però, la consapevolezza che tale strategia potrebbe non realizzare e mantenere il risultato sperato: benché gli incentivi siano stati pensati per il lungo periodo, il rischio è che, una volta esauriti, il movimento possa incepparsi, riportando alla situazione di partenza. Da questo punto di vista, l’aspetto più qualificante della nuova Delega risiede nella espressa volontà di adottare misure adeguate a facilitare la vivibilità delle aree marginali [art. 2, lett. f)]. Una volta attratti nuovi residenti (agili) grazie alla leva fiscale, occorrerà incentivarne anche la permanenza strutturale sul territorio, costruendo un ambiente in cui il benessere, che le periferie garantiscono dal punto di vista della salubrità, possa coniugarsi profittevolmente con un apparato di servizi commensurabile a quello urbano.
Pubblicato anche sul Bollettino ADAPT del 20 novembre 2023, n. 41
([1]) Su cui sia permesso il rinvio a M. De Falco, Lavoro agile: da ancora di salvezza a leva per il ripopolamento dei piccoli comuni, in Boll. Adapt, 8 novembre 2021, n. 39.
([2]) Si pensi, per esempio, alla L. n. 158/2017, che – in assoluta sinergia con la SNAI – ha inquadrato il fenomeno dello spopolamento delle zone remote nell’ambito di una più ampia strategia di riqualificazione dei piccoli comuni.
([3]) Accanto agli 825 milioni di euro già previsti dal Piano, il Fondo complementare agli interventi del PNRR (istituito ex D.L. n. 59/2021) ha destinato alla rivitalizzazione delle aree interne ulteriori 300 milioni di euro per il quinquennio 2021-2026 [art. 1, c. 2, lett. c), p. 12]. Tale finanziamento è stato incrementato di 50 milioni di euro – di cui 20 per il 2023 e 30 per il 2024 – con la L. di bilancio per il 2022 (art. 1, c. 418, L. n. 234/2021).
([4]) Cfr. la Missione 1 del PNRR (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) e i successivi interventi attuativi.
([5]) Così, R. Brunetta, M. Tiraboschi, Grande dimissione: fuga dal lavoro o narrazione emotiva? Qualche riflessione su letteratura, dati e tendenze, in WP ADAPT, 2022, n. 6, p. 13.
([6]) In questa direzione, D. Pennel, The Great Mismatch, ADAPT International Bullettin, 2022, n. 1, ritenendo che la forza lavoro sia «meno motivata e meno propensa a rinunciare alla flessibilità e alla autonomia acquisite negli ultimi due anni» (traduzione mia). Da ultimo, v. anche F.Seghezzi, Le “grandi dimissioni” sono già finite. Ma la pandemia ha cambiato il lavoro per sempre, in Boll. Adapt, 11 settembre 2023, n. 30.
([7]) Cfr. M.S. Ferrieri Caputi, Welfare aziendale e lavoro agile: due istituti legati a doppio filo nel prisma delle relazioni industriali, in Boll. Adapt, 7 febbraio 2022, n. 5.
([8]) Benché non vi sia una netta coincidenza fra aree interne, per come definite supra, e «comuni montani» – ossia quelli caratterizzati alternativamente i) dal posizionamento di almeno il 70% del territorio al di sopra dei 400 metri di altitudine s.l.m., ii) dal posizionamento di almeno il 40% del territorio al di sopra di 400 metri di altitudine s.l.m. e dalla presenza, in almeno il 30% del territorio, di una pendenza superiore al 20% (art. 1, c. 319, L. n. 228/2012) – occorre osservare come le aree progetto individuate in sede di attuazione della SNAI siano prevalentemente collocate lungo la dorsale appenninica e l’arco prealpino. Peraltro, la questione è oggi al centro di altre iniziative legislative, come il recentissimo Disegno di legge recante «Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane» (approvato in esame preliminare il 23 ottobre scorso), ove, similmente al D.D.L. in commento, si prevedono «specifiche misure in favore delle imprese che promuovono il lavoro agile quale modalità ordinaria di esecuzione dell’attività, nei Comuni di montagna» (Capo V).