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Il diritto all’istruzione delle persone con disabilità

Storie - Elena Bulfone - 27 Ottobre 2020

Sono una “vecchia ragazza” idealista, mamma di un ragazzo di 24 anni con autismo, insegnante alla scuola primaria e presidente della Fondazione Progetto Autismo FVG Onlus, che offre servizi a 90 famiglie con autismo, e sono impegnata sul fronte dell’associazionismo ai tavoli regionali per la disabilità. Mi sono chiesta spesso come mai i bambini con disabilità nella scuola italiana siano ignorati al punto tale da non essere nei pensieri di nessuno. Proprio di nessuno, tranne che nei panegirici dei soliti politici in campagna elettorale o degli esperti del settore che parlano in un modo davvero difficile da capire e che, ovviamente, nessuno legge mai.

Non sono nemmeno nei pensieri dei dirigenti del Miur e del Ministero quando pianificano norme e regolamenti, a quanto pare. Lo abbiamo sperimentato col gelo nel sangue nei recenti fatti di Covid19, eppure siamo un esercito: in Friuli Venezia Giulia ci sono 4.000 cattedre di sostegno, mica poco.

Ho preso consapevolezza di questa emarginazione subdola, eppure così concreta, da poco. Ci riflettevo nell’immaginare una trasmissione televisiva che potesse far emergere la bellezza dei progetti per la disabilità sul nostro territorio, restituendo dignità e orgoglio a coloro che si spendono con grande determinazione per rendere migliore la vita di chi spesso ha rinunciato a sperare. Mi sono detta che non volevo una trasmissione di denuncia o di recriminazione o un’esposizione di casi limite, ma un format che evidenziasse appunto la bellezza dei progetti a favore delle persone disabili e la loro ricaduta positiva sul mondo delle persone “normali”. “Dove vive bene una persona con disabilità, vivono bene tutti” è il motto della Consulta Regionale delle Persone Disabili e delle loro Famiglie di cui faccio parte con orgoglio.

Mentre ragionavo sui temi da proporre e sugli ospiti da invitare, mi sono resa conto che avevo pochissime scuole da indicare come modelli virtuosi, eppure la nostra legge 104 è datata 5 febbraio 1992 e le scuole speciali sono state chiuse nel 1977. In Italia, dunque, dovremmo essere all’avanguardia su questi temi, eppure … eppure i progetti virtuosi per l’istruzione e l’inclusione dei bambini disabili rimangono pochi, gli insegnanti che vogliono dedicarsi a loro sono una minoranza sparuta, che non ha un’identità di gruppo forte e coesa e spesso ha una preparazione carente, le cattedre di sostegno sono poche rispetto alle reali esigenze, i materiali a disposizione sono poveri e permangono molti pregiudizi sulle persone e sulle loro famiglie e molte ingiustizie sociali palesi e ignorate non solo dai vertici delle scuole, ma anche dai genitori degli altri bambini.

Tanto che solo con i penosi fatti legati al Covid19 e il conseguente lockdown si è levata la protesta forte dei cittadini e dei giornali per gli insegnanti di sostegno mancanti a inizio anno: per noi famiglie di persone con disabilità questa era ormai una “prassi” a cui ci siamo dovuti piegare sempre con rassegnazione.

Pensavo con amarezza che noi famiglie di disabili: siamo di frequente etichettati come quelli del “tutto dovuto”, noi quelli del “chi si credono di essere o di chiedere, con tutti i problemi che abbiamo”, noi genitori di persone disabili, bambini e ragazzi, che dovrebbero essere tutelati dalla Costituzione italiana, diamo sostanzialmente fastidio. Diamo fastidio sempre, come quel ronzio estivo che ci disturba mentre vorremmo solo prendere sonno la sera, pensiamo di averlo scacciato, ma poi ci alziamo alla mattina con quel prurito fastidioso e sappiamo che il problema è ancora lì nella nostra casa.

Me ne sono accorta subito che la vita di mamma di una persona “speciale” era tutt’altro che semplice: nessuno sconto, nessuna facilitazione se non sulla carta, diritti che non sono mai effettive capacità e per cui devi batterti con le unghie e coi denti contro una burocrazia che mette al primo posto la presunta mancanza di risorse.

Ho sempre pensato che ci vorrebbe una specie di “sindacato” che ci rappresenti, fatto da persone stipendiate per lottare a favore della disabilità e non da volontari “scalcagnati” (mi sento spesso in questo modo) che si dividono fra il loro lavoro, la loro speciale condizione o la loro speciale famiglia e la missione quasi impossibile di districarsi fra la lettura di decreti, norme e leggi, la redazione di commenti, la partecipazione a tavoli di lavoro con funzionari alle volte indispettiti e poco inclini al confronto per arrivare a garantire regolamenti e raccomandazioni disattese nella quotidianità.

Sogno un’alleanza forte con la terza missione universitaria a tutti i livelli, per promuovere una nuova cultura sui diritti delle nostre persone. In particolare, credo ci debba essere – perchè mi pare che sia divenuto necessario per come stanno le cose – un fronte importante da aprire dal punto di vista giuridico. Nel tempo, le giuste battaglie di pochi genitori, per vedere riconosciuti i diritti all’inclusione e all’istruzione, si sono ridotte ai minimi termini a causa dei tempi della giustizia e soprattutto di prassi burocratiche e oneri economici tali da scoraggiare anche le persone più determinate.

Alla luce di questo quadro, reputo una vittoria enorme la recente sentenza della CEDU del 10 settembre 2020, la cui pubblicazione è stata di poco preceduta da due sentenze del Consiglio di Stato del 14 luglio e 24 luglio 2020 sullo stesso tema, che hanno affermato un principio di diritto molto chiaro: l’integrazione delle persone con disabilità è un dovere dello Stato a prescindere dai vincoli di bilancio; che l’inclusione di alunni con disabilità è necessaria anche ai loro compagni senza disabilità; che le risorse non si possono tagliare per i soli alunni con disabilità ma in maniera proporzionale per tutti; che l’educazione inclusiva è la migliore scelta, e che essa non si limita alla minore età.

Credo sia opportuno dare il massimo risalto a queste decisioni, prima di tutto per informare i genitori dei bambini e delle bambine con disabilità, affinché siano consapevoli dei diritti dei loro figli e delle loro figlie. Purtroppo, è proprio l’inconsapevolezza circa i propri diritti che spesso spinge le persone a seguire percorsi non istituzionali e che costringe migliaia di famiglie e persone con disabilità a lottare a mani nude contro le ingiustizie quotidiane.

Sognare in grande una realtà più giusta pretende alleanze forti. Abbiamo bisogno di una consapevolezza sociale diffusa circa i nostri bisogni. Solo così sarà possibile che i riflettori si accendano anche su di noi, per non farci più sentire figli di un dio minore.

 

 

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