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Giustizia sociale e ambientale per le aree rurali

Diritto - Loretta Moramarco - 12 Luglio 2023

Esistono forme di coesistenza e intersezione tra stratificazione delle diseguaglianze ed esposizione al rischio e al danno ambientale. Quando gli shock accidentali impattano sulle vulnerabilità strutturali, non solo eventi estremi ma anche accadimenti normali si trasformano in disastri. Come ben spiegato dalla metafora dello schiaccianoci, i vulnerabili finiscono semplicemente “schiacciati” nella morsa di diseguaglianze e eventi imprevedibili o, comunque, al di fuori del controllo dei singoli. Tra questi vi è la crisi climatica. Sette persone su dieci che vivono in condizioni di estrema povertà risiedono in zone rurali. Due terzi sono impiegati in agricoltura. In alcuni paesi i lavoratori rurali devono far fronte a carenze di governance, sistemi di produzione sottosviluppati e accesso limitato ai servizi, alle infrastrutture e alla protezione sociale. I conflitti, i cambiamenti climatici e la pandemia della COVID-19 hanno messo a nudo le sfide preesistenti nelle aree rurali. Una di queste è l’approvvigionamento alimentare: siamo, infatti, molto lontani dall’obiettivo di porre fine alla fame stabilito per il 2030, e le economie rurali sono sotto pressione a causa della crisi alimentare.

L’ILO ha individuato alcune proposte e strumenti per garantire la giustizia sociale per le popolazioni rurali; giustizia sociale che implica anche la tutela dell’ambiente e la tutela del diritto all’ambiente salubre di chi abita e lavora nelle zone rurali.

Le principali norme internazionali del lavoro relative alla promozione del lavoro dignitoso nel l’economia rurale comprendono  the Right of Association (Agriculture) Convention, 1921 (No. 11), the Rural Workers’Organisations Convention, 1975 (No. 141) and the Safety and Health in Agriculture Convention, 2001 (No. 184).

Durante il Meeting of experts on decent work in the agri-food: An essential part of sustainable food systems, tenutosi a Ginevra a maggio 2023, l’ILO ha adottato le Policy guidelines for the promotion of decent work in the agri-food sector 

Le linee guida sono strutturate in cinque capitoli. Il capitolo 1 definisce il campo di applicazione delle linee guida e identifica i destinatari, mentre i capitoli successivi coprono i quattro pilastri dell’agenda per il lavoro dignitoso. Il capitolo 2 si concentra sui diritti sul lavoro, mentre il capitolo 3 riguarda i posti di lavoro dignitosi e l’occupazione produttiva nel settore agroalimentare. Il capitolo 4 si occupa della protezione sociale e del lavoro e il capitolo 5 del dialogo sociale e il tripartitismo. Tutta l’azione dell’ILO si fonda, infatti, sul principio del tripartitismo: ogni decisione, ogni norma internazionale ed ogni programma d’azione sono costantemente discussi e negoziati dalle tre parti rappresentative degli attori sociali più rappresentativi in ogni società.

È agevole comprendere come vi sia una stretta connessione tra tutela dell’ambiente e tutela del lavoratore agricolo. Si consideri, ad esempio, il punto 34 delle linee guida. I governi sono invitati a considerare, nello sviluppo di politiche volte a garantire un ambiente di lavoro sicuro e sano nel settore agroalimentare, il monitoraggio dei pericoli biologici e l’uso di sostanze chimiche in ragione dell’effetto sulla salute dei lavoratori e sull’ambiente lavorativo, nonché (si aggiunge) dell’ambiente tout court.

Ancor più chiaramente al punto 37 si legge: a socially, environmentally and economically sustainable agri-food sector with full, productive and freely chosen employment and decent work at its core is essential for eradicating poverty, tackling inequalities and ending global hunger.

Restringendo lo sguardo alla condizione italiana, l’intersezione tra diseguaglianze e discriminazioni ambientali si palesa nei rapporti sui lavoratori in agricoltura, in particolare sui migranti impiegati nel settore primario. Secondo le stime del VI Rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI-CGIL, nel 2021 sono stati circa 230 mila i lavoratori impiegati irregolarmente in agricoltura, e di questi 55 mila sono donne. Le Regioni ove le percentuali di lavoratori agricoli subordinati irregolari sono maggiori sono Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio (oltre il 40%), ma anche nel Centro-Nord si registrano diffuse irregolarità. Il fenomeno, pertanto, è ancor lungi dall’essere eradicato, nonostante i recenti interventi normativi. Nel 2016, infatti, è stata approvata la legge n. 199 Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo e si è dotata di una serie ampia di strumenti per contrastare il fenomeno, come accerta anche il “Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020 – 2022”. Al punto 4.2.2. si legge “La promozione di un tessuto di aziende agricole sostenibili dal punto di vista economico, sociale e ambientale è essenziale per garantire la qualità dei prodotti e assicurare condizioni di lavoro dignitose, valorizzare il potenziale economico delle imprese e promuovere la crescita ed il benessere dei diversi territori”. Una dichiarazione analoga a quella contenuta nelle Linee Guida ILO.

Manca, tuttavia, tra le Priorità trasversali un punto specifico dedicato alla trasversalità tra tutela del lavoro dignitoso in agricoltura e tutela dell’ambiente e all’intersezioni tra le diverse discriminazioni emergenti.

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