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Equilibrio di genere nei CDA: dall’intesa per una direttiva dell’Ue alla situazione in Italia

Attualità - Claudia Carchio - 20 Giugno 2022

 

Il 7 giugno scorso, il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri Ue hanno raggiunto un accordo politico provvisorio sulla proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate di maggiori dimensioni (sono infatti escluse dal campo di applicazione le imprese con meno di 250 dipendenti).

La proposta di direttiva c.d. “Women On Board” ha l’obiettivo di migliorare l’equilibrio di genere tra gli amministratori e le amministratrici delle società quotate in borsa dell’Unione europea e prevede che, entro il 2026, almeno il 40% degli incarichi di amministratore non esecutivo o il 30% di tutti gli incarichi di amministratore siano ricoperti da soggetti del sesso sottorappresentato.

Un’ulteriore previsione di rilievo sancisce che ove vi siano due candidati di generi diversi, a parità di qualifiche, la priorità dovrà essere accordata al candidato del sesso sottorappresentato.

È, inoltre, previsto che le società in questione, con cadenza almeno annuale, presentino alle autorità competenti un resoconto sui risultati raggiunti e dimostrino di aver adottato procedure trasparenti per la selezione e la nomina dei membri del consiglio di amministrazione nonché una valutazione comparativa dei diversi candidati sulla base di criteri chiari e formulati in modo neutro.

Nel caso in cui i parametri della disposizione normativa non siano stati rispettati, le società dovranno indicare in che modo intendono agire per rimuovere le disparità e, in difetto, saranno soggette a sanzioni pecuniarie, la cui applicazione è rimessa dalle autorità nazionali.

Come chiarito dalle stesse istituzioni europee, con l’adozione della nuova direttiva in parola l’Ue punta a raggiungere una rappresentanza più equilibrata di uomini e donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa che si rende necessaria in quanto, nonostante negli ultimi dieci anni in tutta l’Ue siano stati compiuti progressi verso una maggiore parità di genere negli organi societari, essi rimangono lenti e disomogenei tra gli Stati membri. Le donne, che pur costituiscono circa il 60% dei nuovi laureati nell’Ue, sono ancora fortemente sottorappresentate nei processi decisionali in ambito economico, in particolare ai livelli apicali, tanto che le rilevazioni riferite al mese di ottobre 2021 evidenziano come, in media, solo il 30,6% dei membri dei consigli di amministrazione (con differenze significative tra gli Stati membri, dal 45,3% in Francia all’8,5% a Cipro) e appena l’8,5% dei presidenti di consiglio siano donne (rispetto al 10,3% e al 3% nel 2011).

A fronte di dati così esigui circa la presenza femminile, l’esperienza e i molteplici studi in materia hanno, tuttavia, dimostrato che i consigli di amministrazione che garantiscono una rappresentanza di genere più equilibrata prendono decisioni migliori e che una maggiore presenza di donne nelle posizioni decisionali in ambito economico è in grado di favorire un incremento della parità di genere non solo all’interno delle imprese, ma nella società in generale.

Consentire alle donne e agli uomini di realizzare il proprio potenziale rappresenta, quindi, un obiettivo vantaggioso per tutti gli individui come singoli e nel loro insieme, ma anche per le imprese, perché consente loro di attirare e accrescere lo sviluppo dei talenti, della diversità, della inclusività e quindi alla crescita economica, favorendone la competitività e la capacità di rispondere al meglio ai bisogni del mercato.

Va sottolineato che il disegno di legge della direttiva “Donne nei consigli di amministrazione”, su cui di recente è stata raggiunta un’intesa, attendeva da un decennio, allorquando, nel 2012, la relativa proposta era stata presentata per la prima volta dalla Commissione europea. Dopo un lungo periodo di stallo (nel 2014 il Consiglio non era riuscito a raggiungere un accordo sul progetto di direttiva, v. Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori dell’11.12.2014, nel 2015 il Consiglio aveva discusso la direttiva, senza poter tuttavia giungere a un accordo dato il persistere di divergenze di opinioni sulla proposta, e aveva ritenuto necessario continuare a riflettere sulle possibili opzioni per la via da seguire, v. Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del 7.12.2015, nel 2019 i ministri vengono informati dalla Commissione sulla questione dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, v. Consiglio Occupazione, politica sociale, salute e consumatori del13/14.6.2019) si è dovuto attendere sino al 4 marzo 2022 affinché gli Stati membri riuscissero ad adottare un orientamento generale su una direttiva europea volta a rafforzare la parità di genere nei consigli di amministrazione (v. Gender balance in the boardroom: general approach).

Nel frattempo, gli Stati membri hanno agito individualmente giungendo a stabilire le c.d. quote di genere in vari settori, tra cui si annovera anche la composizione dei consigli di amministrazione (al momento sono 9 i Paesi che hanno introdotto leggi di tale natura: Spagna, Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Portogallo e Grecia).

In Italia, la legge 12 luglio 2011, n. 120, c.d. Golfo-Mosca (come modificata dalla legge di Bilancio 2020, arti. 1, cc. 302-305, legge n. 160/2019), aveva già previsto, a favore, del genere meno rappresentato, la riserva di una quota pari almeno al 40% dei componenti, consentendo così al nostro Paese di giungere oggi, con una percentuale di rappresentanza del genere meno presente del 40% nei consigli direttivi, al secondo posto in UE, dopo la sola Francia che tocca il 45,3%.

L’Italia rappresenta quindi un esempio virtuoso nel panorama europeo, ma non va dimenticato che le donne che ricoprono il ruolo di amministratrici delegate raggiunge appena il 2% (essendo presenti in sole in 15 società), peraltro con un valore in decrescita rispetto al 3% registrato nel 2013, mentre quelle che svolgono le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione risultano, seppur in leggero aumento, solo il 4% del totale (v. Consob, IX Rapporto sulla corporate governance delle società quotate italiane, aprile 2021).

L’accordo sulla direttiva “Women on board” costituisce, pertanto, un importante passo avanti per tutti gli Stati dell’Ue, ma anche per l’Italia, proprio perché aggiunge, rispetto alla normativa nazionale, una ulteriore soglia, del 33%, anche per i ruoli esecutivi, che, al momento, vedono una significativa sotto-rappresentazione delle donne, presenti sì nel nostro Pese, ma quasi esclusivamente in ruoli di consigliere indipendenti e non esecutive.

Di una tale considerazione si dovrà tenere conto al fine di garantire il corretto adeguamento della legislazione nazionale alla direttiva, una volta in forza, non potendosi ritenere applicabile sic et simpliciter la speciale esenzione in essa contenuta, secondo cui un paese che, prima della sua entrata in vigore, abbia compiuto progressi che lo rendono prossimo al raggiungimento degli obiettivi o abbia adottato una legislazione altrettanto efficace può sospendere i requisiti della direttiva relativi alla procedura di nomina o di selezione.

 

 

 

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