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Educare al futuro, educare alla cittadinanza globale

Giornate Internazionali - Mattia Baiutti - 11 Gennaio 2023

 

 

 

di Mattia Baiutti, Fondazione Intercultura [i] 

 

Target 4.7 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite

Garantire entro il 2030 che tutti i discenti acquisiscano la conoscenza e le competenze necessarie a promuovere lo sviluppo sostenibile, anche tramite un’educazione volta ad uno sviluppo e uno stile di vita sostenibile, ai diritti umani, alla parità di genere, alla promozione di una cultura pacifica e non violenta, alla cittadinanza globale e alla valorizzazione delle diversità culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile

Il 24 gennaio si celebra la quinta Giornata Internazionale dell’Educazione istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, una giornata per celebrare l’educazione e per riflettere su essa.

Oggi si fa un gran parlare di futuro dell’educazione, ma anche di educazione al futuro. Ad esempio l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), in particolare con il progetto Future of Education and Skills 2030, ragiona sui futuri dell’educazione così come sulle competenze che saranno richieste nel futuro. Un altro esempio è l’UNESCO che ha un programma sull’alfabetizzazione al futuro all’interno del quale nel 2020 ha organizzato il Future Literacy Summit e, allo stesso tempo, ha formato una Commissione internazionale del futuro dell’educazione i cui lavori sono riportati nel documento Reimaging our futures together: A new social contract for education. Inoltre, in continuità con i lavori di tale Commissione, lo scorso settembre si è tenuto alle Nazioni Unite il Transforming Education Summit (TES).

Potrei continuare con gli esempi ma ciò che desidero porre all’attenzione è una premessa che è spesso comune a questo genere di documenti: il periodo contemporaneo, caratterizzato da cambiamenti accelerati, crea situazioni e opportunità radicalmente nuove come, ad esempio, l’interconnessione mondiale, la realtà aumentata e la realtà virtuale. Tutto ciò sta rendendo macroscopica la complessità[ii] che sfocia spesso in un senso di spaesamento: le grammatiche delle società si trasformano così velocemente che ci si sente analfabeti.

In questo diffuso senso di smarrimento spesso è importante tornare alle domande ‘esistenziali’. Ritengo che per l’educazione una di questa domanda sia: qual è il fine ultimo della scuola? In una società democratica, la risposta canonica è: “formare i cittadini e le cittadine”. Ma questa risposta rimanda immediatamente a un’altra domanda: come sarà/vogliamo che sia la cittadinanza del futuro? Ma, anche, come alfabetizzare (alfabettizar-ci) alla cittadinanza del futuro?

Senza troppi giri di parole, personalmente ritengo che l’orizzonte a cui tendere quando in educazione si parla di cittadinanza sia quello globale. Il concetto di cittadinanza globale, però, al di là di facili slogan, può essere alquanto scivoloso. Nel presente contributo, quindi, tenterò di tracciare uno dei possibili confini semantici e proporrò l’internazionalizzazione della scuola come una delle piste per promuovere tale cittadinanza.

Il concetto di ‘cittadinanza globale’ non è certo nuovo: nella storia dell’umanità sono rintracciabili diverse filosofie e correnti di pensiero che, retrospettivamente, potrebbero essere considerate aspiranti a tale concetto. È famosa, ad esempio, la scena raccontata da Diogene Laerzio in Le vite dei filosofi in cui viene chiesto a Diogene il Cinico “Di che paese sei?” e lui risponde “Cosmopolites!” (IV secolo A.C). Tuttavia, sono state le sfide dello sviluppo tecnologico, sociale e politico del XX e del XXI secolo, nonché i grandi problemi globali, come quello ambientale, che hanno reso plausibile (necessaria?) una cittadinanza che ambisca al confine planetario.

A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, in Europa, una certa parte di società civile – in particolare le organizzazioni che promuovevano de facto la dimensione internazionale alla cittadinanza, l’educazione alla pace e l’educazione ai diritti umani – aveva iniziato a dialogare con le istituzioni per porre alla loro attenzione un’idea di cittadinaza che superasse i confini delle Nazioni. E non è un caso che, come è emerso da una recente ricerca bibliometrica[iii], anche a livello di ricerca in ambito educativo le prime pubblicazioni su questi temi risalgano ai primi anni Ottanta. Ma è solo negli ultimi dieci/quindici anni che gli organismi internazionale (ad es., UNESCO, Consiglio d’Europa, OCSE), le università e i centri di ricerca si sono concentrati in modo corposo sul concetto di ‘cittadinanza globale’.

Da una semplice sguardo alla vasta produzione degli ultimi anni si evince subito una certa babele terminologica: ‘cittadinanza mondiale’, ‘cittadinanza planetaria’, ‘cittadinanza senza confini’, ‘competenza globale’ tanto per citare alcune espressioni. Allo stesso tempo, si coglie anche che la cittadinanza globale può significare cose molto diverse (anche contrastanti) a seconda di chi parla e per quali finalità.

Una delle cose, però, su cui sembra esserci un certo grado di consenso è che il concetto di ‘cittadinanza’, sotteso a quello di ‘cittadinanza globale’, non è da intendere in senso strettamente legale. Infatti, come era emerso anche dal convegno di Fondazione Intercultura Ricomporre Babele (Milano, 7-9 aprile 2011), non esiste al momento uno stato che si possa definire globale, non esiste un governo globale o un esercito globale, pertanto nessuno/a può essere un cittadino o una cittadina globale in senso legale. Piuttosto, quando si parla di cittadinanza globale, ci si riferisce a un’idea di cittadinanza come di appartenenza e di partecipazione.

L’UNESCO, in una definizione molto nota, sostiene che la cittadinanza globale è il “senso di appartenenza ad una comunità più ampia e a un’umanità condivisa, interdipendenza politica, economica, sociale e culturale e un intreccio fra il locale, il nazionale e il globale”. Partendo da questa definizione, l’UNESCO poi sostiene che:

L’educazione alla cittadinanza globale vuole essere trasformativa, intende costruire conoscenze, competenze, valori, atteggiamenti che i discenti devono poi essere in grado di restituire, al fine di contribuire a un mondo di pace, più giusto e inclusivo. L’educazione alla cittadinanza globale si basa su un approccio poliedrico, fondato su metodologie e concetti già applicati in altri ambiti, come l’educazione ai diritti umani, alla pace, allo sviluppo sostenibile ed educazione alla comprensione delle questioni internazionali e mira al raggiungimento di questi comuni obiettivi. L’educazione alla cittadinanza globale si basa su un processo di apprendimento continuo a partire dalla prima infanzia e prosegue coprendo tutti i gradi scolastici fino all’età adulta, facendo ricorso sia ad approcci formali e informali, interventi curricolari e extra-curricolari e percorsi convenzionali e non convenzionali alla partecipazione

Ma quali sono le competenze che permettono di sviluppare (non retoricamente!) un mondo pacifico, giusto, che pone al centro i diritti umani per tutti, lo sviluppo sostenibile e l’inclusione? Una possibile risposta è rintracciabile nel Quadro di Riferimento elaborato dal Consiglio d’Europa. In questo Quadro, rivolto principalmente al mondo scolastico, si esplicitano e sistematizzano le competenze per una cultura della democrazia e per il dialogo interculturale che sono composte da valori, atteggiamenti, abilità, conoscenze e comprensioni critiche. Fra queste vi sono: il valorizzare la dignità umana e i diritti umani; il valorizzare la diversità culturale; l’apertura all’alterità culturale e ad altre credenze, visioni del mondo e pratiche; il rispetto; la tolleranza dell’ambiguità, l’abilità di pensiero analitico e critico; l’abilità di ascolto e di osservazione; l’empatia; la flessibilità e adattabilità, le abilità linguistiche, comunicative e plurilingui; la conoscenza e comprensione critica del sé; la conoscenza e comprensione della lingua e della comunicazione; la conoscenza e la comprensione critica della cultura e delle religioni.

Ma come è possibile educare a queste competenze? Le strade sono diverse. Una di queste è l’internazionalizzazione. La ricerca pedagogica, infatti, concorda nel sostenere che l’educazione internazionale e interculturale gioca un ruolo chiave nel promuovere alcuni componenti delle competenze di cittadinanza globale come ad esempio l’apertura verso gli altri, il rispetto e la valorizzazione delle diversità, le abilità linguistiche e comunicative, l’autoconsapevolezza culturale, l’etnorelativismo.

Ma cosa significa internazionalizzare la scuola? Ovviamente qui non mi riferisco alle scuole internazionali che hanno nelle loro DNA l’internazionalizzazione. Piuttosto, parlo delle scuole che decidono di aprirsi al mondo. In questo senso, l’internazionalizzazione non è qualcosa che accade per caso o automaticamente, ma necessità di un certo grado di intenzionalità da parte dei vari organi della scuola e consiste nell’inserire le dimensioni internazionale, interculturale e globale in tutti gli aspetti della vita della scuola dai documenti alle pratiche didattiche, dal curriculum ai progetti. L’internazionalizzazione non è un fine in sé ma è un processo guidato dall’idea di migliorare la qualità dell’educazione – che non a caso è anche l’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 – e questo riguarda non solo una élite di studenti e studentesse, ma l’intera comunità scolastica e, in ultima analisi, la società.

Visto da un punto di vista di pratiche, l’internazionalizzazione si articola (i) in attività che si svolgono nel proprio istituto (‘internazionalizzazione nel proprio paese’, internationalisation at home) come ad esempio l’internazionalizzazione del curricolo e dell’insegnamento, club di lingue, laboratori di educazione alla pace e alla non discriminazione; (ii) in progetti che prevedono una forma di mobilità (‘internazionalizzazione all’estero’, internationalisation abroad/cross-border) come la mobilità internazionale di studenti e studentesse, docenti, staff. Considerando queste e altre attività, l’Osservatorio nazionale sull’internazionalizzazione delle scuole e la mobilità studentesca, che svolge rilevazioni periodiche curate dall’Istituto di ricerca Ipsos per misurare il livello di internazionalizzazione delle scuole superiori, sostiene che, seppure lentamente, la scuola superiore italiana sta sempre di più inserendo il processo di internazionalizzazione al suo interno ma resta ancora molto da fare!

Per riassumere, una cittadinanza che guarda al futuro sembra essere la cittadinanza globale. Quest’ultima richiede di equipaggiare gli studenti e le studentesse (e tutta la comunità scolastica) con alcune competenze come, ad esempio, la competenza interculturale. Una delle vie maestre per fare ciò è l’internazionalizzazione della scuola.

Edgar Morin scrive “non solo ogni parte del mondo fa sempre più parte del mondo, ma il mondo come un tutto è sempre più presente in ciascuna delle sue parti.” La scuola che oggi realmente risponde alla propria ragion d’essere, formare cittadini e cittadine, è la scuola che diventa uno spazio di esercizi di mondo.

 

Per approfondire:

ASviS. (2022). Quaderno Target 4.7 Educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale.

Baiutti, M. (2019). Protocollo di valutazione Intercultura. Comprendere, problematizzare e valutare la mobilità studentesca internazionale. Pisa: ETS.

 

[i] Parte di questo contributo riprende quanto già pubblicato in Baiutti (2019) e nel Report Azione 1 della ricerca attualmente in corso Educazione civica e mobilità studentesca internazionale (Baiutti, 2022).

[ii] Ceruti, M., & Bellusci, F. (2020). Abitare la complessità. La sfida di un destino comune. Milano – Udine: Mimesis.

[iii] Palaz, T. (2021). Global Citizenship And Education: A Bibliometric Research. International Journal of Education Technology and Scientific Researches, 6(16), 1907-1947.

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