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Eccezione di prescrizione e preclusioni nell’azione contro la discriminazione

Giurisprudenza - Ida Carla Maggio - 18 Novembre 2021

Con sentenza n. 25400, pubblicata lo scorso 20 settembre, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione, riformando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, ha rigettato, per decorso del termine di prescrizione del credito, la domanda di una lavoratrice volta a ottenere l’accertamento della natura discriminatoria del comportamento dell’istituto previdenziale erogatore in relazione ai criteri adottati per la liquidazione dell’indennità di maternità e l’accertamento del diritto a percepire l’indennità nella misura richiesta.

La pronuncia in commento si inserisce nell’ormai noto panorama giurisprudenziale in materia di indennità di maternità delle assistenti di volo, che, con orientamento costante, considera l’erogazione dell’indennità di maternità in misura inferiore rispetto a quanto previsto dal d.lgs. n. 151/2001 (c.d. T.U. sulla maternità e paternità) un comportamento discriminatorio, in ragione del sesso e della condizione di madre della lavoratrice, in violazione dell’art. 25 del d.lgs. 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità).

La sentenza suscita peraltro particolare interesse, perché, da un lato, affronta la questione che attiene alla qualificazione della domanda della dipendente a ottenere la riliquidazione della prestazione previdenziale, con le relative conseguenze sul termine prescrizionale; dall’altro, si sofferma sul regime delle preclusioni nel processo antidiscriminatorio disciplinato dal Codice delle Pari Opportunità.

Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 36 e 38, comma secondo, del Codice delle Pari Opportunità una dipendente assistente di volo e la Consigliera di Parità della Provincia di Firenze convenivano in giudizio l’istituto previdenziale al fine di condannare quest’ultimo, in ragione del suo comportamento discriminatorio, alla rimozione degli effetti pregiudizievoli del detto contegno illegittimo, “consistenti nella ricostruzione e riliquidazione del trattamento economico di maternità spettante alla ricorrente secondo i criteri di cui al T.U. nr. 151/01” (punto 4.2 della sentenza). La domanda veniva accolta dalle corti di merito le quali, inter alia, hanno respinto l’eccezione di prescrizione annuale, sollevata dall’ente previdenziale ai sensi dell’art. 6, ultimo comma, della l. n. 138/1943 in sede di opposizione al decreto, sull’assunto per cui la lavoratrice non aveva esercitato una azione di riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale, ma la diversa azione, non sottoposta a termini decadenziali o prescrizionali, volta all’accertamento di un trattamento economico discriminatorio in ragione dello stato di gravidanza della dipendente i cui effetti avrebbero dovuto essere rimossi anche in via di risarcimento del danno.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto di non condividere la conclusione raggiunta dalla Corte d’appello di Firenze, sostenendo invece come quest’ultima fosse intervenuta in un errore di diritto per non aver esaminato l’eccezione di prescrizione.

Argomenta la Corte, innanzitutto, che, benché la causa petendi della pretesa azionata dalla lavoratrice fosse stata indicata nella discriminazione di genere perpetrata dall’ente previdenziale, il bene della vita domandato in giudizio, per rimuovere gli effetti pregiudizievoli del contegno lamentato, coincideva con quello che la dipendente avrebbe potuto raggiungere intraprendendo un’azione di adempimento dell’obbligazione previdenziale. Il petitum della domanda giudiziale, infatti, era “stato individuato nella differenza economica tra quanto erogato a titolo di indennità di maternità dall’ente previdenziale in base a determinate modalità di calcolo e quanto ritenuto dovuto in base alla disciplina di legge, secondo diversi criteri di computo” (punto 8 e 9 della sentenza).

A corredo della propria decisione, la Suprema Corte richiama i precedenti giurisprudenziali in tema di discriminazione nella progressione economica dei dipendenti a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, in cui la Corte, in modo analogo, ha stimato che la domanda con cui si chiedeva il trattamento economico di miglior favore in ragione della lamentata discriminazione fosse relativa a pretese retributive, sicché la domanda doveva essere qualificata come una domanda di adempimento contrattuale e soggetta al termine di prescrizione dell’obbligazione non adempiuta (Cass, n. 12443/2020; Cass. n. 12503/2020; Cass., n. 15352/2020).

A parere dei giudici di legittimità, quindi, seppur si fosse in presenza di una discriminazione di genere e la domanda fosse stata spiegata dalla lavoratrice in giudizio nell’ambito del procedimento contro le discriminazioni, questa consisteva in ultima istanza in un trattamento previdenziale, volto a conseguire l’indennità di maternità nella misura di legge, soggiacendo alle regole che valgono per l’azione di adempimento di detta prestazione previdenziale, incluso il relativo regime prescrizionale.

Con una diversa interpretazione, scrive la Corte, “risulterebbe alterata proprio la finalità della tutela contro la discriminazione” che è quella di “garantire al soggetto del gruppo sfavorito lo stesso trattamento riservato alla persone della categoria privilegiata, non certo di attribuirgli vantaggi che produrrebbero, a ben vedere, uno squilibrio al contrario” (punto 14 della sentenza, enfasi aggiunte).

In secondo luogo, la pronuncia in commento ha ritenuto tempestiva l’eccezione di prescrizione allegata in giudizio dall’ente previdenziale convenuto in sede di opposizione al decreto emesso dallo stesso Tribunale ex art. 38 del Codice delle Pari Opportunità.

Ricordano i giudici di Piazza Cavour che il procedimento contro la discriminazione disciplinato dal Codice delle Pari Opportunità consta di due fasi e che la prima fase, a cognizione sommaria, si conclude con decreto avverso il quale è possibile proporre opposizione, a cognizione piena e ai sensi degli artt. 413 Cod. Proc. Civ. ss., avanti lo stesso Giudice, opposizione che abilita “la parte alla proponibilità di eccezioni non proposte nella precedente fase sommaria” (punto 18 della sentenza).

Osserva così la Suprema Corte, richiamando precedenti arresti di legittimità con riferimento al procedimento di repressione della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (Cass. n. 5179/1987; Cass. n. 2808/1994; Cass. n. 3742/1995), su cui l’art. 38 del Codice delle Pari Opportunità è stato modellato, che le preclusioni e le decadenze previste a carico dell’attore e del convenuto non operano già nella fase sommaria del procedimento, ma nella successiva fase di opposizione.

In conclusione, la sentenza dalla Suprema Corte n. 25400/2021 merita di essere segnalata sia per aver colto l’occasione di precisare il regime delle preclusioni nell’azione antidiscriminatoria per motivi di genere, sia per aver affrontato, a quanto consta per la prima volta in sede di legittimità, il tema relativo alla prescrizione del credito vantato dalla assistente di volo a ottenere l’indennità di maternità in misura integrale.

A quest’ultimo riguardo, si ritiene, tuttavia, che la pronuncia non sia riuscita a dirimere del tutto efficacemente il contrasto interpretativo che si è venuto a creare fra le corti di merito in argomento, che attiene invero alla complessa qualificazione della domanda giudiziale.

La Cassazione, infatti, ha in ultima analisi stimato superflua la circostanza per cui la lavoratrice avrebbe subito un comportamento discriminatorio, fatto che la stessa ha però posto a fondamento della propria azione. Ma, se si assume come presupposto che “si è in presenza di una discriminazione diretta, basata sul sesso” (punto 13 della sentenza), allora è possibile argomentare, di converso, che l’azione esperita dalla lavoratrice sia tesa a tutelare non il diritto di credito a una prestazione previdenziale, bensì un bene giuridico diverso: ossia il diritto alla dignità della persona e il diritto di essere madre.

Così ragionando, la domanda dalla lavoratrice, che vede come causa petendi la sussistenza di una condotta discriminatoria e come petitum l’accertamento di un trattamento discriminatorio e la rimozione dei suoi effetti pregiudizievoli, potrebbe allora essere finalizzata alla tutela di una diversa situazione giuridica, con un diverso regime giuridico.

È condivisibile il principio richiamato dalla Suprema Corte per cui la tutela contro la discriminazione non deve essere utilizzata come grimaldello per ottenere indebiti vantaggi; tuttavia, non sembra che si possa equiparare la situazione di chi rivendica un adempimento (totale o parziale) del trattamento previdenziale tout court e chi invece lamenta di aver subito un comportamento discriminatorio, che in quanto tale contiene un diverso (e maggiore) disvalore.

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