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È una discriminazione indiretta non eliminare le barriere architettoniche

Giurisprudenza - Gianluca Picco - 15 Aprile 2020

La Corte di Cassazione, sentenza, 13 febbraio 2020, n. 3691 ha statuito che il Comune attua una forma di “discriminazione indiretta” non rimuovendo le barriere architettoniche che impediscono a una consigliera disabile di accedere autonomamente nei locali comunali.

Così, l’ente locale è stato condannato a risarcire tutti i danni – quantificati in via equitativa – subiti dalla consigliera per il periodo in cui il suo accesso ai locali pubblici è stato impedito senza l’ausilio di terzi, seppur messi a disposizione dal Comune stesso. Secondo i giudici, infatti, la consigliera è stata penalizzata dalla mancata predisposizione di modifiche architettoniche, o comunque di sistemi ad hoc, necessari a renderle accessibili i luoghi comunali in totale autonomia.

Per i giudici di legittimità, si tratta di una discriminazione indiretta, ai sensi dell’art. 2, 3° comma, l. n. 67/2006.  L’omissione del Comune, infatti, non è concerne una singola persona concretamente danneggiata dallo stato dei luoghi, ma rileva proprio per la sua potenzialità lesiva dei diritti di tutte le persone disabili. L’abbattimento delle barriere architettoniche è una misura prevista per facilitare la vita di relazione delle persone disabili: ciò risponde a una esigenza di salvaguardia della personalità e dei diritti dei disabili stessi, che trova una sponda nella Costituzione e precisamente nella garanzia della dignità della persona, oltre che nella tutela del diritto fondamentale alla salute, inteso quale completo benessere fisico, psichico e sociale della persona.

Infine, a nulla rileva la mancanza di volontà di discriminare una specifica persona, in quanto non fa certo venir meno la violazione dei diritti costituzionalmente garantiti ai portatori di handicap fisico.

 

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Testo della decisione

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