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Superamento del periodo di comporto: discriminatorio licenziare il lavoratore disabile

Giurisprudenza - Gianluigi Pezzini - 9 Maggio 2020

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 25 luglio 2019, n. 20204, ha cassato con rinvio la pronuncia della Corte d’Appello di Milano, che aveva confermato il carattere discriminatorio di un licenziamento intimato a un lavoratore portatore di handicap, ai sensi della L. n. 104/1992, per superamento del periodo di comporto.

La Corte d’Appello ha qualificato la condotta della società datrice di lavoro come una discriminazione diretta, discostandosi da quanto statuito dal Tribunale di Milano che aveva ravvisato la sussistenza, invece, di una discriminazione indiretta.

Infatti, si ha una discriminazione diretta «quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga», mentre sussiste una discriminazione indiretta quando un comportamento, apparentemente neutro, ha l’effetto di «mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone» (art. 2, c.1, lett. a) e b), d.lgs. 216/2003).

Il Supremo Collegio ha statuito che la Corte d’Appello sia incorsa nel vizio di ultra-petizione ex art. 112 c.p.c., in quanto il ricorso del lavoratore era volto all’accertamento di una discriminazione indiretta e non di una discriminazione diretta.

La Corte di Cassazione ha sottolineato come siano «diversi i presupposti di fatto e, conseguentemente, le allegazioni che devono sorreggere una azione volta a far valere una discriminazione diretta rispetto a quelli necessari per sostenere una richiesta di accertare l’esistenza di una discriminazione indiretta e viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che senza una specifica richiesta ed in mancanza di specifiche allegazioni, pur nell’identità del petitum, muti la causa petendi e qualifichi la discriminazione come diretta in luogo di quella indiretta prospettata dalla parte».

 

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Testo della decisione

 

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