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Diversity management come motore della vita aziendale

Diversity & Inclusion - Daniele Gasparini - 24 Novembre 2021

Se da un lato l’inclusione delle diversità è un percorso ormai tracciato e di sempre più stringente attualità aziendale e sociale, la capacità di valorizzare le specificità, all’interno di una rete di relazioni e scambi, diviene la sfida nella quale aziende e lavoratori si trovano a confrontarsi per poter rispondere alla complessità del mercato.

Il lavoro è cambiato nel suo essere pensato, agito, progettato (dallo scientific management alle auto-organizzazioni, passando dalla “scoperta” della natura sociale del lavoro). A tale cambiamento ha contribuito anche l’evoluzione subita dall’economia delle imprese, e il relativo spostamento dalla produzione di beni alla fornitura di servizi anche a supporto/integrazione dei beni stessi (servitizzazione).A ciò si è accompagnata la sempre maggiore enfasi sui processi di relazione e di organizzazione efficace ed efficiente del lavoro stesso, oggi più che mai “sconvolto” dai cambiamenti, già necessari, ma accelerati da una pandemia che ne ha ridefinito i tempi, i luoghi e le modalità di svolgimento (si pensi allo smartworking, al lavoro agile e alla mobilità lavorativa, ecc…). In tale scenario, è cruciale la capacità proattiva delle aziende di valorizzare e includere le diversità.

Ma quali sono le “diversità” delle quali parliamo all’interno delle organizzazioni?

Il concetto di diversità può essere riferito a molteplici fattori: sesso, razza, condizione sociale, ideologia, orientamento religioso e numerose altre variabili (Loden, M., Implementing diversity, in Sociology Mind, 1996, Vol. 2, n.1) che potremmo raggruppare in due macrocategorie ovvero quelle che identificano il patrimonio innato della persona e non possono essere modificate (età, il genere, l’origine etnica, le competenze/caratteristiche mentali) e quelle riferite a elementi acquisiti nel tempo (background educativo, la situazione familiare, la localizzazione geografica, il reddito, la religione, l’esperienza professionale).

Gardenswartz e Row (Diverse Teams at work: capitalizing on the power of diversity. Society for Human Resource Editor, McGraw-Hill, 1994), con specifico riferimento al contesto organizzativo, hanno teorizzato un modello (fig.1) volto a spiegare non solo la suddivisione in livelli ma la complessità dell’interconnessione tra gli stessi, nel descrivere la realtà aziendale in tema di diversity management.

Il livello centrale è rappresentato dalla Personalità (inner level) e considera l’insieme dei valori e delle credenze che guidano la condotta individuale caratterizzati da una base sia genetica che socioculturale. Tali aspetti influenzino le scelte, le azioni e in generale la performance del lavoratore. Il secondo livello è la Dimensione interna (core dimension) e raggruppa specificità quali il genere, la nazionalità, l’orientamento sessuale e religioso, l’età, le abilità mentali e fisiche e derivano da condizioni ereditarie o condizioni specifiche del gruppo di appartenenza e che prescindono dalla volontà dell’individuo e perciò non possono essere causa di trattamento differente tra individui quindi oggetto delle normative antidiscriminatorie.

Il terzo livello è la Dimensione esterna alla quale appartengono caratteristiche quali il reddito, la collocazione geografica, le abitudini personali e ricreative, lo stato familiare e sono caratteristiche determinate principalmente da condizioni familiari e personali, modificabili nel tempo in modo parziale dall’agire dell’individuo. In questo caso, le azioni di tutela mirano al perseguimento di un trattamento paritario tra individui, come per esempio il sostegno a persone nate in aree svantaggiate o in famiglie degradate.

L’ultimo livello è quello della Dimensione organizzativa, che identifica aspetti autonomamente definiti dall’organizzazione (ruoli, responsabilità e relazioni all’interno dell’azienda) e generano implicitamente differenziazioni poiché l’appartenenza a una funzione aziendale o lo svolgimento di uno o l’altro compito può portare ad alcune discriminazioni: si pensi, ad esempio all’accesso alla formazione, al part-time, alla progressione di carriera o allo smart-working.

E’ importante sottolineare che il modello evidenzia come la condizione di ogni individuo sia la risultante di molteplici aspetti che il modello stesso identifica e che l’azienda deve tenere in considerazione la loro evoluzione, che modifica i bisogni, le aspettative e gli obiettivi individuali ponendo in continua evoluzione il contratto psicologico tra azienda e lavoratore

(fig.1) Modello a 4 livelli Gardenswartz & Rowe, Diverse Teams at Work (2nd Edition, SHRM, 2003) *Internal Dimensions and External Dimensions are adapted from Marilyn Loden and Judy Rosener, Workforce America! (Business One Irwin, 1991)

 

La sfida aziendale, quindi, sta da un lato nel saper individuare, gestire, caratterizzare con elementi distintivi e quindi valorizzare quelle differenze che rendono ciascun individuo unico, dall’altro creare sistemi in grado di eliminare le discriminazioni insite nei processi di gestione organizzativa e relazionali. Tutto questo in un processo continuo e costante che sa intercettare i cambiamenti di ciascun collaboratore. A tal fine, la necessità di un riassetto organizzativo, la creazione di un sistema principalmente di tipo culturale in grado di governare tale sfida è, mai come ora, elemento distintivo e competitivo in un contesto in cui sia la prospettiva esogena (ambiente esterno) sia la prospettiva endogena (strategie aziendali) rappresentano leve importanti per l’implementazione delle azioni di diversity management.

In tale contesto, la funzione Risorse Umane ha un ruolo strategico, poiché i processi che governa (dalla selezione alla formazione, alla retention e politiche economiche e sviluppo del personale) hanno in sé da un lato l’obiettivo di includere/escludere le persone nella vita aziendale (si pensi alla selezione del personale), dall’altra la potenzialità di implementare l’inclusione attraverso le azioni quotidiane. In tale contesto, l’attento utilizzo delle HR analytics rappresenta un importante strumento di supporto alle scelte e alle politiche di diversity management.

Siamo di fronte a un percorso di cambiamento organizzativo che, profondo o “superficiale” che sia, necessita di una programmazione da cui emerga chiaramente: l’obiettivo atteso, la tempistica, gli attori da coinvolgere, e infine, una comunicazione quanto più diffusa, uniforme e comprensibile che crei il senso di partecipazione collettiva al cambiamento stesso.

Tutto ciò è essenziale non solo per il buon esito delle strategie di diversity management, ma altresì per costruire una “comunità di lavoro” caratterizzata da “un comune sentimento di partecipazione, interessi condivisi e mediati, obiettivi significativi e risultati in parte comuni, valori e obiettivi condivisi, lealtà multiple ai processi, alla professione, all’organizzazione di appartenenza e senso si appartenenza sia alla comunità locale [l’organizzazione] che a una comunità professionale” (Butera F., Il cambiamento organizzativo, Hoepli Edizioni, 2009, 77-78)

Le aziende si trovano a operare in mercati sempre più globalizzati ove sono delocalizzati non solo i prodotti e i servizi, ma anche le persone e le competenze grazie all’abbattimento delle barriere fisiche e alla mobilità territoriale. Ciò inevitabilmente determina il sorgere di una collaborazione con sistemi aziendali, assetti organizzativi e culture completamente diverse dove il collaboratore può rappresentare questa o quella cultura e divenire quindi egli stessi riferimento aziendale per la customizzazione di prodotti e servizi.

Ancora una volta quindi la spinta dal basso (su cui si rinvia a quanto si diceva in L’inclusione organizzativa e la competitività d’impresa) appare un tassello essenziale nello sviluppo aziendale, innovativo e creativo. La rapidità di tale evoluzione sarà tanto maggiore quanto più efficacemente il management aziendale saprà garantire autonomia e responsabilità.

In questa sfida sociale ed economica, le organizzazioni devono ripensarsi, portando nei propri valori aspetti quali la tolleranza e la consapevolezza: la tolleranza quale condizione fondamentale per accettare le diversità presenti all’interno dell’impresa; la consapevolezza di un contesto socioeconomico in continuo mutamento in grado di influenzare le strategie che le imprese stesse devono adottare facendo leva su risorse spesso già presenti in azienda.

Se questi sono i presupposti, competenze di tipo multiculturale appaiono quanto mai necessarie per il successo delle politiche di accoglienza e inclusione delle diversità. Tali competenze sono identificate da Trikey (Diversity management competencies and the development challenge: special competencies, skills and attitudes needed to “manage through cultures”, in Diversity Management e Società Multiculturale, a cura di Mauri L., Visconti L.M., Franco Angeli, 2004) in 3 macro-categorie:

  1. Mentalità multiculturale: la capacità di accogliere i diversi stili di pensiero e comportamento. Questa categorie include aspetti quali:
  • new thinking, ovvero la capacità di visione multidisciplinare dei fenomeni organizzativi, di mercato e sociale, e quindi andare al di là della propria area professionale;
  • welcoming strangers, cioè la proattività nel creare un network di relazioni con persone e realtà che si discostano dalle nostre percezioni e valori
  • acceptance, tolleranza verso il cambiamento, il confronto, la diversità;
  • flexible judgement, la capacità di evitare gli stereotipi;
  • valuing differences, stimolando la proattività di ciascuno di mettere in gioco le proprie abilità per un risultato comune
  1. Competenze comunicative multiculturali: la capacità di agire la comunicazione attraverso:
  • la percettività, ovvero la capacità di assicurarsi che ogni interlocutore comprenda il significato trasmesso;
  • l’orientamento all’ascolto, ovvero la capacità di dedicare attenzione all’interlocutore attraverso un processo comunicativo caratterizzato da un feedback continuo ed efficace;
  • la trasparenza, ovvero la capacità di saper comunicare senza sottintesi.
  1. Capacità di leadership multiculturale, attraverso
  • l’influenza, sapendosi adattare allo stile comunicativo dell’interlocutore
  • il trovare soluzioni sinergiche, cioè un approccio che valorizzi i diversi punti di vista degli interlocutori.

Tali competenze sono essenziali in contesti multiculturali e rappresentano per qualsiasi organizzazione elementi imprescindibili per la realizzazione di ambienti.

È importante ricordare che un approccio inclusivo non aumenta soltanto l’efficacia lavorativa, ma arricchisce il bagaglio delle conoscenze del lavoratore e di quelle condivise dal gruppo e per tale via si migliora la qualità delle relazioni sociali.

 

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