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Disuguaglianze sociali: con gli occhi della sociologia

Attualità - Stefano Agati - 14 Giugno 2023

 

Intervento di Stefano Agati* al Congresso della Associazione Nazionali dei Sociologi, Roma, 7 giugno 2023

Il tema delle disuguaglianze sociali è antico come la storia dell’uomo. A partire dall’età moderna, già con Jean-Jacques Rousseau, nel suo famoso discorso all’Accademia di Digione sulle origini e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini si cominciano a delineare gli aspetti fondamentali e ad individuare le tre macroaree tematiche che riguardano questa grande questione.

Rispetto alla prima macroarea, dall’illuminismo alla rivoluzione francese, e successivamente con l’affermarsi del nuovo ordine sociale della moderna società industrializzata già nel 1845 Friedrich Engels seppe evidenziare l’oppressione e lo sfruttamento del proletariato (la classe operaia), da parte della borghesia (la classe capitalista).

Nasce così la questione delle classi sociali e soprattutto quella della “coscienza di classe” che apre la strada agli studi sociologici di Engels, di Marx, di Weber fino a Pierre Bourdieu, che negli anni ‘70 esprime il suo concetto di “habitus”, ovvero di “società iscritta nel corpo, dell’individuo biologico”. Per Bourdieu infatti, un ragazzo apprende dalla famiglia, dalla scuola e dal mondo che lo circonda, cosicchè lo sviluppo dell’habitus ha origine attraverso l’interazione del soggetto con le istituzioni e le strutture nelle quali è immerso, facendo si che l’ordine sociale si inscriva gradualmente nella sua mente.

Una seconda macroarea tematica storicamente riconducibile alle disuguaglianze sociali è “l’oppressione razziale” manifestatasi anche all’interno delle grandi democrazie in antitesi con l’ideale illuminista. Il sociologo Du Bois ai primi del novecento, ricorda come il pregiudizio della “linea del colore” che rivendica la supremazia bianca sui neri in molti aspetti della vita di tutti i giorni, sia più forte della legge, mentre negli anni ‘90 Paul Gilroy ha analizzato la posizione di questi gruppi etnici e le problematiche di razzismo delle società moderne.

Nel 2012 con The Iconic Ghetto, il sociologo americano Elijah Anderson afferma: quando i bianchi vedono uno sconosciuto nero appartenente alla classe bassa lo associano al “ghetto”, caratterizzato da povertà, violenza e criminalità, il ghetto che diventerebbe punto di riferimento per interpretare l’identità nera, e solo i neri della classe media avrebbero la possibilità di oltrepassare questa stigmatizzazione, emulando le classi alte e fornendo prova di resilienza.

Infine esiste una fetta importante di disuguaglianze riconducibili alla “parità di genere”. Negli anni ’80, Reawyn Connell ha denunciato quelle forme di “costruzione sociale” che favoriscono e consolidano la società patriarcale, mentre negli anni ’90, Sylvia Walby ha proposto un’analisi dei sistemi sociali deputati a conservare e preservare le strutture patriarcali della società. Walby afferma che le donne non sono vittime passive, tuttavia sono oppresse, dominate e sfruttate dal mondo maschile attraverso sei strutture sociali interagenti: lo Stato, il nucleo famigliare, il lavoro retribuito, le istituzioni culturali, la violenza maschile e gli atteggiamenti verso la sessualità.

Nelle nostre personali esperienze di vita, ascoltando i media o leggendo le prime pagine dei quotidiani abbiamo modo tutti i giorni di venire a conoscenza di episodi, anche drammatici, collegabili alla disparità di classe, alla questione razziale e alla parità di genere ad oggi non ancora compiuta e che viene superata da altre forme di genere più fluide e complesse, come la comunità LGBTQ+, che confermano un dato di fatto: la questione delle disuguaglianze è ancora molto diffusa, non è affatto risolta e resta un fenomeno da indagare nella sua complessità.

Nell’età contemporanea la classificazione delle disuguaglianze non è più così netta, ma liquida e sfumata, il nodo delle disuguaglianze è più intricato e per scioglierlo serve saper ragionare declinando i fattori cruciali mediante un approccio multidimensionale. In Italia assistiamo al manifestarsi di disuguaglianze delle quali è vittima una fetta della popolazione, in particolare le donne e i giovani, cioè il potenziale umano della società del domani. Nell’ottica multidimensionale, considerando ad esempio il grado di istruzione, quindi il titolo di studio conseguito, possiamo valutare come una eventuale fragilità in questo senso si configuri in relazione alla disuguaglianza economica – come sottolineato quest’anno dal rapporto di Oxfam al World Economic Forum di Davos, la dice lunga il fatto che i ricchi siano sempre più ricchi e la marea dei poveri sempre più povera – e come queste dimensioni siano a loro volta connesse con le difficoltà di accesso ai servizi essenziali, come i servizi della salute.

Ma anche quando si tratta di propensione di accesso all’informazione e di accesso alla cultura si percepisce una evidente divaricazione collegata al titolo di studio posseduto. Da fonte elaborazione dati del rapporto BES – ISTAT, si apprende che in Italia oltre il 25% di coloro che sono in possesso di un titolo di licenza media o inferiore sono a rischio di povertà relativa, contro il 7,7% delle persone che invece hanno conseguito una laurea o hanno titoli di studio superiori.

E’ dimostrato inoltre che la percezione e la sensibilità per il cambiamento climatico nonché la fiducia nel futuro diminuiscono fra coloro che hanno un titolo di studio più basso.

Ricordo inoltre il rischio della propagazione delle fragilità confermato dal Rapporto 2022 della Caritas Italiana, dove si legge che solo l’8% dei giovani con genitori senza titolo superiore riesce ad ottenere un diploma universitario, e successivamente nel mondo del lavoro il 20% ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei genitori o ha sperimentato addirittura una mobilità discendente.

Nel prossimo futuro non sarà possibile produrre risposte immediate e definitive, ma dobbiamo gestire questo problema sapendo che riguarda tutti noi, perché oltre all’aspetto etico e morale, l’aumento delle disuguaglianze genera instabilità negli assetti del sistema economico e politico. Sarà importante investire risorse e agire a partire delle giovani generazioni, che mostrano evidenti segnali di difficoltà: dalla massiccia presenza dei NEET, al crollo delle nascite nelle coppie under trenta.

Concludendo, credo che le disuguaglianze debbano essere sempre affrontate in un’ottica sistemica e non occasionale o episodica, a partire dal rispetto dei valori della popolazione considerata, e per realizzare questo serve un impegno pubblico che non escluda l’interazione con soggetti privati, un intervento con ampia visione e adeguata governance, che sappia pertanto tenere insieme la strategia complessiva in coerenza con la realizzazione delle riforme necessarie.

BIBLIOGRAFIA
ANDERSON E. (2012). The Iconic Ghetto. The Annals of the American Accademy of Political and Social Science, Jg.642, S. 8-24.
BOURDIEU P. (2009). Ragioni pratiche. Bologna: Il Mulino.
CONNELL R.W. (1987). Gender and power. Stanford: Stanford University Press.
DU BOIS W.E.B. (2007). Le anime del popolo nero. Firenze: Le Lettere
GILROY P. (2003). The Black Atlantic. Milano: Meltemi.
ROUSSEAU J. (2017). Origine della disuguaglianza. Milano: Feltrinelli.
WALBY S. (1991). Teorizing Patriarchy. London: Willey-Blackwell.

 

* Stefano Agati è sociologo professionista 

 

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