Discriminazioni indirette nel bilanciamento tra vita privata e lavoro
Il Tribunale di Firenze, sentenza, 22 ottobre 2019 si è pronunciato in merito alla possibile discriminazione indiretta subita dai genitori e, in specie dalle lavoratrici madri, a causa di disposizioni datoriali che limitano sensibilmente la possibilità di conciliare la vita privata con il lavoro.
Al riguardo, il giudice di primo grado ha richiamato la nota definizione di discriminazione indiretta, sussistente quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere le persone appartenenti alle categorie tipizzate (portatrici dei fattori di rischio tipici) in una situazione di particolare svantaggio, a meno che non sussistano una finalità legittima e il carattere di appropriatezza e necessità dei mezzi impiegati per conseguirla.
Nel caso di specie, è stato osservato che costituisce una circostanza notoria e di comune esperienza il fatto che i genitori (e, a maggior ragione le lavoratrici madri) si trovino a gestire il carico familiare, con la necessità di dover far fronte a bisogni impellenti e imprevedibili che possono comportare sia il ritardo nell’accesso al luogo di lavoro, sia l’esigenza di anticiparne l’uscita. Conseguentemente, le disposizioni datoriali ostative al soddisfacimento di tali esigenze di cura familiare, seppur astrattamente neutre, si traducono in uno svantaggio per tale gruppo di lavoratori e lavoratrici. Pertanto, costituiscono una forma di discriminazione indiretta.
La pronuncia evidenzia, altresì, sotto il profilo della domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali avanzata dalla Consigliera di Parità, la necessità che il risarcimento soddisfi anche una funzione dissuasiva e sanzionatoria, individuandosi il danno risarcibile nel pregiudizio agli scopi istituzionali dell’ente e all’azione di contrasto delle discriminazioni che esso si propone.
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