Discriminazioni digitali nella p.a.: il CdS dice no al “gioco dell’oca”
In Italia, il rapporto fra Pubblica Amministrazione Digitale e privato cittadino non gode di una buona reputazione. Benché sia rivolta alla semplificazione, l’introduzione di servizi pubblici accessibili solo tramite autenticazione SPID o CIE e di procedure informatizzate nei bandi di concorso male si concilia, infatti, con la scarsa padronanza delle tecnologie da parte dei cittadini.
Al riguardo, l’Iindice europeo di Digitalizzazione dell’Economia e della Società (DESI, 2022) evidenzia come, nel contesto nazionale, a fronte del potenziamento dei servizi pubblici digitali (+10% rispetto al 2020), l’area relativa al cd. “capitale umano” sia rimasta pressoché invariata nel tempo, confermando la persistente arretratezza delle persone residenti nella Penisola. Basti pensare che meno della metà della popolazione possiede «competenze digitali di base» (42%, contro il 56% dell’UE) e solo una piccola quota di queste è dotata di «competenze digitali avanzate» (22%, contro il 31% dell’UE).
In questo scenario, soccorrono le risorse stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che si propongono di accelerare la «Strategia nazionale per le competenze digitali» [1] – anche mediante l’istituzione dell’apposito «Fondo Repubblica digitale» (art. 29, D.L. n. 152/2021) – nonché di «raggiungere [la soglia del] 70% di cittadini digitalmente abili entro il 2026». Certo è che, allo stato, il dato poc’anzi riportato riassume la diffusa inaccessibilità dei servizi pubblici, che risulta idonea a tradursi in discriminazione per coloro che non dispongono delle conoscenze tecniche necessarie a dialogare con la P.A. digitale.
In argomento, è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato, con decreto cautelare n. 5055 del 31 ottobre 2022, richiedendo «l’individuazione dell’effettivo limite dell’onere di diligenza informatica che possa ragionevolmente farsi gravare sul quisque de populo [affinché non sia] costretto a una sorta di “gioco dell’oca” per completare una procedura telematica impostagli».
La vicenda riguarda il caso di una cittadina che aveva partecipato e superato un pubblico concorso, collocandosi, così, nella graduatoria di merito. Nella successiva fase (telematica) di indicazione della preferenza sulla sede di destinazione, la candidata aveva omesso di manifestare la propria scelta, non essendosi rapportata correttamente con la piattaforma digitale a ciò dedicata.
Invero, la concorrente era convinta di aver espresso la preferenza sul portale, in quanto esso aveva generato la conferma della avvenuta ricezione, ritenendo, pertanto, che nessuna altra azione fosse necessaria. Per contro, l’Amministrazione riscontrava che, dal caricamento sulla piattaforma, a risultare «non [era stato] l’invio, ma solo ed esclusivamente il salvataggio in modalità “bozza”».
Sicché, la graduatoria finale non collegava alcuna destinazione alla candidata, la quale, avverso tale circostanza, proponeva prontamente ricorso presso il Tribunale amministrativo.
La questione attiene al delicato equilibrio che si instaura fra le parti e, in particolare, fra gli oneri su di esse gravanti: dal lato del cittadino, quello di conoscere (e mantenersi aggiornato circa) l’utilizzo dei sistemi pubblici digitali e, dal lato della P.A., quello di fornire un adeguato supporto alla persona obbligata a interfacciarsi con tali procedure informatizzate.
Il Tribunale adito dalla concorrente richiamava l’orientamento giurisprudenziale per cui «se rimane impossibile stabilire con certezza se vi sia stato un errore da parte del trasmittente o, piuttosto, la trasmissione sia stata danneggiata per vizio del sistema, il pregiudizio ricade sull’ente che ha bandito, organizzato e gestito la gara». Considerato, però, che «tale incertezza, ad avviso del Collegio, non è dimostrata nel caso di specie», il Giudice amministrativo rigettava l’appello della ricorrente, qualificandolo come infondato.
In particolare, se verosimile avrebbe potuto ritenersi il fatto che la candidata, ritenuto (in buona fede) di aver indicato la preferenza, non abbia inteso verificarne il regolare caricamento, a parere del Tribunale, un eventuale malfunzionamento della piattaforma sarebbe stato di agevole accertamento. Parimenti, l’Amministrazione non avrebbe potuto esercitare il potere di soccorso istruttorio, allorché l’indicazione della scelta della sede di destinazione rappresentava (e, in generale, rappresenta) una facoltà espressamente riservata ai concorrenti del concorso.
Su questo giudizio si è pronunciato il Consiglio di Stato, che ha sospeso l’efficacia della sentenza, disponendo che la Amministrazione, nelle more della decisione collegiale, tenga conto delle preferenze già espresse (anche se non correttamente caricate) al fine della assegnazione delle sedi. La giustificazione adottata dal Giudice amministrativo appare alla giustizia d’appello un mero «ossimoro motivazionale: giacché l’incertezza [che “non è stata dimostrata”], per definizione, non pare possa integrare l’oggetto di un onere probatorio gravante su chi l’invoca, anziché sulla controparte», ossia sull’ente che ha bandito, organizzato e gestito la procedura concorsuale e che, invero, non aveva assolto siffatto onere probatorio.
La portata innovativa del decreto cautelare riguarda la posizione della Amministrazione, in capo alla quale si individua un «dovere di soccorso istruttorio (sub specie di soccorso procedimentale, o informatico)» molto ampio, non solo «preventivo, ma anche successivo», laddove la modalità telematica rappresenti l’unico mezzo attraverso il quale i concorrenti possano accedere alla procedura. Quanto, invece, all’obbligo di diligenza informatica della candidata, il Consiglio di Stato invita a domandarsi «se a carico del semplice cittadino, pur non trattandosi di un “professionista”, sia traslabile tutto quanto la giurisprudenza abbia finora enucleato sulla partecipazione delle imprese alle gare o degli avvocati al processo telematico», ritenendo che su di esso «non possa gravare l’onere di munirsi d’una sorta di “ufficio informatico” per potersi correttamente rapportare con l’Amministrazione pubblica».
Il vero punto di discussione è, come detto, quello di comprendere «se e fino a che punto, a fronte di malfunzionamenti del sistema o del collegamento, il cittadino possa essere costretto a una sorta di “gioco dell’oca” per completare la procedura telematica impostagli e avvedersi per tempo di eventuali insuccessi». In tutti i casi, rimane l’onere di collaborazione della P.A., al tempo della sua digitalizzazione, sino a che essa non sia pienamente accettata (e accessibile), «salvo postulare un generale obbligo di alfabetizzazione informatica quale precondizione per continuare a godere dei più elementari diritti civili» che, invero, si traduce in discriminazione, a danno dei più.
[1] La «Strategia nazionale per le competenze digitali» è stata approvata il 21 luglio 2020 dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione «affinché: i) le capacità digitali delle persone siano rafforzate; ii) lo Stato garantisca uno sviluppo tecnologico etico, responsabile e non discriminatorio; iii) i cittadini siano formati per accedere ai lavori del futuro attraverso un processo di formazione continua».