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Via libera alla Direttiva sull’equilibrio di genere nei CdA delle società quotate

Attualità - Claudia Carchio - 29 Novembre 2022

lI 17 ottobre 2022, a dieci anni dalla presentazione della proposta da parte della Commissione, è stato adottato il testo definitivo della direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate, anche conosciuta come direttiva sulle donne nei consigli di amministrazione (Women on Boards).

Le prescrizioni della direttiva (ad oggi in attesa di formale pubblicazione e trasmissione) impongono agli Stati membri di promuovere una rappresentanza di genere equilibrata nei consigli di amministrazione delle società – pubbliche e private – quotate nell’UE, per tali intendendosi le società con sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato in uno o più Stati membri.

L’obiettivo che la direttiva prescrive alternativamente, a scelta degli Stati membri, è di provvedere affinché, entro il 2026, nelle società quotate i componenti del genere sottorappresentato raggiungano il 40% degli amministratori senza incarichi esecutivi, ovvero il 33% di tutti i componenti del consiglio di amministrazione con o senza incarichi esecutivi.

In tal modo la direttiva fissa delle soglie minime di rappresentanza tra i generi, prescrivendo agli Stati di predisporre una disciplina interna che vincoli le società non in linea con il parametro prescelto a procedere alle nomine degli amministratori sulla base di criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro e a dare priorità, all’esito di tale procedura, al candidato del sesso sottorappresentato se questo è ugualmente qualificato rispetto al candidato dell’altro sesso in termini di idoneità, competenza e rendimento professionale.

Oltre a prevedere criteri oggettivi per la selezione e la nomina dei membri del consiglio di amministrazione, che garantiscano una valutazione comparativa dei diversi candidati secondo i principi di equità e trasparenza, la normativa pone anche una sorta di clausola di salvaguardia: la priorità al candidato del genere sottorappresentato è sempre dovuta a meno che “una valutazione obiettiva che tenga conto di tutti i criteri specifici dei singoli candidati non faccia propendere per il candidato dell’altro sesso”. In tal modo le qualifiche e il merito rimangano i requisiti fondamentali di selezione dei candidati e si esclude che la promozione dei soggetti del genere sottorappresentato sia automatica e incondizionata.

È altresì previsto un meccanismo sanzionatorio che opera nel caso in cui il livello minimo di armonizzazione dei requisiti in materia di governo societario non sia rispettato. Le sanzioni per le violazioni delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive e possono comprendere sanzioni amministrative o nullità o annullamento, da parte di un organo giudiziario, della nomina o dell’elezione degli amministratori senza incarichi esecutivi avvenute in violazione delle disposizioni nazionali”.

Al fine di consentire la necessaria vigilanza sul rispetto delle quote indicate ed eventualmente applicare le sanzioni, gli Stati membri devono imporre alle società quotate l’obbligo di fornire informazioni alle autorità nazionali competenti, una volta all’anno, in merito alla rappresentanza di genere nei loro consigli, distinguendo fra amministratori senza incarichi esecutivi e amministratori con incarichi esecutivi, nonché in merito alle misure prese riguardo al raggiungimento degli obiettivi minimi. Tali informazioni devono essere pubblicate in modo adeguato e accessibile sul sito web della società quotata e, ove quest’ultima non rispetti gli obiettivi, dovrà altresì rendere note le ragioni della mancata realizzazione dei medesimi insieme ad una descrizione delle misure adottate o da adottare per colmare il divario.

Quanto all’ambito di applicazione della direttiva va chiarito, in primo luogo, che il raggiungimento di una rappresentanza di genere equilibrata nelle società quotate riguarda esclusivamente agli amministratori senza incarichi esecutivi e non anche coloro che hanno specifici ruoli di gestione all’interno delle società.

Come emerge anche dalla Relazione di accompagnamento alla proposta di direttiva, la ratio di tale scelta risiede nella necessità di raggiungere un compromesso fra l’esigenza di incrementare la diversità di genere nei consigli, da un lato, e la necessità di ridurre al minimo l’ingerenza con la gestione quotidiana di una società, dall’altro. Ciò non di meno, la Commissione ha sottolineato che una maggiore presenza del sesso sottorappresentato fra gli amministratori senza incarichi esecutivi, i quali hanno un ruolo fondamentale nelle nomine ai massimi livelli di gestione e nell’elaborazione della politica dell’impresa in materia di risorse umane, può produrre positivi effetti a cascata sulla diversità di genere in tutta la scala gerarchica.

In secondo luogo, il campo di operatività della direttiva è circoscritto alle sole società quotate, mentre restano escluse le c.d. piccole e medie imprese (cioè quelle «che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro») e ciò per la riconosciuta difficoltà di imporre una quota di genere all’interno dei consigli di amministrazione delle realtà produttive di dimensione giuridica ed economica più piccola.

Un’ulteriore esclusione può, infine, essere disposta a discrezione degli Stati membri, i quali possono esentare dal raggiungimento dell’obiettivo le società quotate il cui genere sottorappresentato costituisca meno del 10% del personale.

Da quanto detto si evince che lo spazio d’azione riservato all’iniziativa degli Stati membri sono ancora molteplici e, proprio all’interno dei medesimi, potranno essere promosse azioni volontarie per il riequilibrio di genere.

A tale proposito, infatti, gli Stati, oltre a dover adattare le misure nazionali agli obblighi posti dalla direttiva, e a darne conto in fase di analisi e monitoraggio da parte degli organismi interni di parità, per poi riferirne con cadenza biennale alla Commissione, restano liberi di introdurre previsioni di miglior favore.

Diversamente, i paesi che sono già dotati di una disciplina interna volta al raggiungimento della soglia di riequilibrio, potranno mantenerla, a condizione che la sua efficacia sia pari (o superiore) a quella del sistema prospettato a livello europeo. In tali casi gli Stati possano chiedere che sia loro concessa la sospensione dell’applicazione dei meccanismi previsti dalla normativa sovranazionale, ma dovranno dimostrare, redigendo una relazione da trasmettere alla Commissione, «i risultati concreti ottenuti grazie alle misure nazionali».

Ciò detto in merito ai contenuti della direttiva, si deve considerare che l’adozione delle norme dell’UE in materia di equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società rappresenta un’implementazione del principio di parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, sancito dai trattati dell’UE e dal pilastro europeo dei diritti sociali del 2017, oltre che dal diritto secondario (v. tra tutte la direttiva n. 2006/54/CE).

Nonostante la legislazione primaria e derivata dell’UE vieti espressamente ogni discriminazione basata sul sesso, le donne continuano a essere di gran lunga meno numerose degli uomini nel mercato del lavoro, in generale, e nelle posizioni apicali, in particolare, come ad esempio nei consigli di amministrazione delle società. Tale squilibrio di genere è particolarmente significativo e accentuato nel settore privato, specialmente nelle società quotate, ove la percentuale di donne tra i membri dei consigli di amministrazione è pari al 31,5% e raggiunge appena l’8% se si considera la pozione di presidente del consiglio di amministrazione (si vedano al proposito i dati pubblicati dall’indagine dell’EIGE sulle più grandi società quotate in borsa dell’UE di giugno 2022).

Ne deriva una forte disparità di rappresentazione, a scapito delle donne, nei processi decisionali in ambito economico, soprattutto ai massimi livelli.

L’obiettivo della direttiva è quindi quello di accrescere la partecipazione delle donne nei consigli di amministrazione, anche in considerazione delle positive ripercussioni di ordine economico che tale incremento può avere. Le stesse istituzioni europee riconoscono gli effetti positivi derivanti dal rafforzamento della partecipazione delle donne nei processi decisionali, poiché da ciò deriva un incremento del livello e della qualità dell’occupazione femminile nelle società interessate e, più generale, nell’economia, dando un impulso alla crescita economica in Europa e migliorando la competitività delle imprese.

In tale contesto, l’Italia può essere definito un paese precursore, in quanto la c.d. legge Golfo-Mosca (l. n. 120/2011) ha previsto da oltre un decennio una quota di partecipazione del genere meno rappresentato almeno pari al 40% nell’ambito dei consigli di amministrazione delle società quotate e partecipate. Dall’adozione del testo di legge i progressi compiuti sono stati costanti, tanto che in base al rapporto Consob 2021 la presenza femminili nei ruoli e nelle società indicate registra un trend univocamente crescente, che ha raggiunto i propri massimi storici.

Nonostante il nostro Paese sia già dotato di un meccanismo di riequilibrio nella composizione dei consigli di amministrazione delle società quotate e delle controllate conforme agli obiettivi minimi della direttiva, sono ancora ampi i margini di miglioramento soprattutto per quanto concerne la presenza femminile negli incarichi di maggiore rilievo, come quelli di amministratore/ice delegato/a, nelle società con amministratore unico, quelle non quotate e le società di capitali private.

La rilevanza di tale obiettivo emerge anche nell’ambito della Strategia Nazionale sulla parità di genere (2021-2026), i cui contenuti e obiettivi strategici si ispirano alla Strategia europea e sono di riferimento anche per l’attuazione del PNRR, ove si è sottolineata la necessità non solo di innalzare l’attuale quota prevista dalla legge Golfo-Mosca, con possibile estensione ad altre aziende, in particolare a favore delle società non quotate, ma anche di introdurre una di norma di legge che obblighi la pubblicazione, da parte delle aziende quotate, dei profili anonimizzati ma con dettaglio del genere dei candidati, interni ed esterni, considerati nella fase finale di selezione per i ruoli di CEO.

 

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