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Corte di Giustizia UE: le famiglie omogenitoriali hanno il diritto di circolare liberamente in Europa

Giurisprudenza - Nicola Deleonardis - 11 Febbraio 2022

Affermare che il cammino delle famiglie omogenitoriali è irto di ostacoli, non è purtroppo retorica. Ce lo dimostra la sentenza recente della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ci si appresta a commentare (v. anche C. De Capitani, Rainbow families and the right to freedom of movement), concernente proprio l’esercizio del diritto delle famiglie arcobaleno di circolare liberamente nell’Unione europea.

D’altronde, che questo sia un problema largamente sentito e noto, lo prova il fatto che la Strategia europea LGBTQ+ 2020-2025 prevede un’iniziativa a livello comunitario volta a promuovere il riconoscimento della omogenitorialità negli spazi eurocomunitari. Secondo lo studio del Parlamento Europeo, Obstacles to the Free Movement of Raimbow Families in the EU, infatti, solo un intervento dell’UE garantirebbe il riconoscimento automatico dei legami familiari delle famiglie arcobaleno nel caso di trasferimento in un differente Paese membro.

Venendo alla decisione, si tratta della sentenza del 14 dicembre 2021, caso C-490/20, V.М.А. contro Stolichna obshtina, rayon ‘Pancharevo’ (comune di Sofia, distretto di Pancharevo, Bulgaria). Il principale problema giuridico affrontato è stato il bilanciamento tra diritti fondamentali, quali la tutela dell’interesse familiare e l’interesse superiore del minore, da un lato, e l’identità nazionale, dall’altro (questione già affrontata dalla Corte dell’Aja con la sentenza C-673/16, Coman e altri, del 2019).

Protagonista della vicenda una coppia omosessuale, composta da una cittadina bulgara (V.M.A., la ricorrente) e da una britannica (K.D.K), entrambe residenti in Spagna dal 2015. Sposate, si sono viste riconoscere il loro matrimonio, potendo così condurre in Spagna la loro vita familiare: un progetto esistenziale culminato con la nascita di una bambina (S.D.K.A) nel 2019. Entrambe sono state riconosciute come mamme, come attesta il certificato di nascita della bambina, pur senza rivelare l’identità della madre biologica, in osservanza della legge spagnola.

Nel 2020, V.M.A ha richiesto alle autorità del suo paese d’origine (la Bulgaria) il rilascio a favore di sua figlia di un certificato di nascita, pre-condizione ai sensi della legge bulgara per ottenere il documento che ne comprovi la cittadinanza. Tuttavia, tale richiesta è stata respinta dal Municipio di Sofia, adducendo due motivazioni: la mancata indicazione sul certificato spagnolo dell’identità della madre naturale e l’assenza di una norma in Bulgaria che riconosca i matrimoni tra persone dello stesso sesso e tuteli la filiazione in capo a una coppia dello stesso sesso.

Il rifiuto delle autorità bulgare – come spesso accade per le questioni di natura familiare – ha creato un dilemma in V.M.A.: cedere alle richieste statali e rivelare di essere o meno la madre biologica della bambina oppure salvaguardare la serenità familiare rinunciando al riconoscimento della cittadinanza per la bambina. La sentenza della CGUE sciogliendo il nodo gordiano si è espressa a favore del diritto della bambina a vedersi riconosciuta la cittadinanza.

In primo luogo, la Corte  ha chiarito che la bambina è una cittadina europea, potendo così esercitare il suo diritto a circolare liberamente negli spazi comunitari (art. 21, par. 1 TFUE), anche qualora sia nata in un altro Stato membro diverso dal suo Paese d’origine e non si sia mai recata in quest’ultimo. In considerazione del diritto alla libertà di circolazione, è imposto agli Stati membri di rilasciare ai propri cittadini i documenti d’identità, a prescindere dal certificato di nascita (art. 4, par. 3, Direttiva 2004/38/CE). Ancora, ha sottolineato la Corte di Giustizia che tale documento d’identità deve consentire al bambino di muoversi e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri con entrambe le madri.

In conclusione, l’art. 21, par. 1, TFUE sancisce il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Tuttavia, tale diritto non sarebbe pienamente esercitabile se il cittadino europeo non potesse circolare insieme ai propri familiari, tanto più quando il legame familiare è formalizzato e riconosciuto da uno Stato europeo. Nel caso di specie, in forza del matrimonio riconosciuto dalla legge spagnola, tutti gli Stati membri devono riconoscere V.M.A e K.D.K quali madri della bambina, con il diritto/dovere di accompagnarla in qualunque parte del suolo europeo.

La sentenza della Corte, dunque, come già era accaduto con la causa Coman, rende recessivo il rispetto dell’identità nazionale degli Stati membri rispetto alla tutela dei diritti garantiti dal TFUE e, soprattutto, dei diritti fondamentali della persona. Nello specifico, il rifiuto dell’autorità bulgara di fornire il certificato di nascita, e la conseguente negazione di un documento di riconoscimento, avrebbe violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’art. 7 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

La Corte aveva già insistito sulla primazia dell’interesse del minore al mantenimento dell’unità familiare (v. M.A.v État belge, C‑112/20, 11 marzo 2021), di cui godono anche le famiglie omoparentali (Coman e altri, C-673/16, par. 50 e i casi ivi citati). Nel caso di specie, sarebbe stato contrario alla tutela dei diritti fondamentali della bambina, di cui agli artt. 7 e 24 della Carta sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, privarla del rapporto con una delle sue madri solo perché si tratta di una famiglia omogenitoriale.

La CGUE, dunque, conclude ritenendo doveroso che la Bulgaria rilasci alla bambina una carta d’identità o un passaporto senza esigere che le autorità nazionali redigano preventivamente un certificato di nascita, riconoscendo invece il documento dello Stato membro ospitante.

Si tratta come è evidente di una decisione di estrema rilevanza, che prova ancora una volta quali e quante difficoltà vivano le persone LGBTQ+ tutte le volte in cui invocano il rispetto dei propri diritti fondamentali negli Stati “ostili”. Come è stato rilevato dell’ILGA-Europe, “l’attuazione (della sentenza, ndr) è la parte cruciale […]. Il giudice del rinvio in Bulgaria dovrà applicare la sentenza della CGUE e la famiglia continuare il processo in Bulgaria. Può anche significare ulteriori contenziosi, come è accaduto nel Caso Coman”.

La vicenda decisa dalla Corte impone una breve riflessione di chiusura. A distanza di circa 70 anni dalla sua fondazione non esiste ancora un’eurozona socialmente uniforme. Ciò è vero in molti ambiti, ma è particolarmente evidente per i cittadini europei che siano gay o lesbiche tutte le volte in cui vogliono creare una famiglia e avere figli. I loro diritti sono riconosciuti a macchia di leopardo, con aree “paradisiache”, ma anche con molti “purgatori” e troppi “inferni”.

 

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