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Corte costituzionale: parità di genere nelle liste elettorali dei comuni sotto i 5.000 abitanti

Giurisprudenza - Claudia Carchio - 25 Marzo 2022

 

 

Con la sentenza n. 62 del 10 marzo 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle norme che non prevedono la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e la conseguente esclusione delle liste che non assicurino tale rappresentanza dalla competizione elettorale.

La questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla terza sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 4294/2021, riguarda le norme del Testo unico degli enti locali e del Testo unico per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali che rispettivamente dispongono: a) la regola secondo cui nelle liste dei candidati, nei comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati (art. 71, comma 3-bis, d.lgs. n. 267/2000); b) l’attribuzione alla Commissione elettorale mandamentale del compito di verificare che nelle liste dei candidati per le elezioni dei consigli comunali nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti sia rispettata la pari rappresentanza di genere e, in caso contrario, il potere di ridurre la lista, cancellando i nomi dei candidati appartenenti al genere rappresentato in misura eccedente i due terzi dei candidati (art. 30, comma 1, lettere d-bis) ed e), d.P.R. n. 570/1960).

Il giudice rimettente ha osservato come l’attuale quadro normativo preveda tre livelli di tutela della parità di genere nelle elezioni dei consigli comunali, diversamente operanti a seconda del numero degli abitanti del comune:

– il livello massimo riguarderebbe i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, per i quali concorrono due differenti meccanismi: uno di riduzione e l’altro di esclusione delle liste.

– il livello intermedio opererebbe per i comuni con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti, per i quali il rimedio al superamento del limite dei due terzi di rappresentanza di ciascun genere è costituito solo dalla riduzione delle liste, senza che sia prevista la ricusazione (stabilendosi infatti che «[l]a riduzione della lista non può, in ogni caso, determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto per l’ammissione della lista medesima»).

– il livello inferiore che, per i comuni con popolazione al di sotto dei 5.000 abitanti, prevedrebbe che «[n]elle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi».

Secondo Consiglio di Stato, pur nel livello inferiore, ove la rubrica della norma “elezione del sindaco e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000 abitanti” consentirebbe con certezza di estendere la sua efficacia ai Comuni che presentino tale densità anagrafica, non è tuttavia prevista dalla vigente normativa alcuna misura sanzionatoria a carico delle liste che non assicurino la rappresentanza di entrambi i sessi.

Per tale ragione, le norme più sopra richiamate violerebbero l’art. 3 Cost., che costituirebbe un «prius logico-giuridico dell’art. 51 Cost.», nonché l’art. 117 Cost. (per violazione dell’art. 14 CEDU e dell’art. 1 Prot. addiz. n. 12 CEDU) essendo irragionevole che non sia previsto alcun vincolo nella formazione delle liste elettorali nei Comuni fino a 5.000 abitanti e che gli aspiranti candidati restino privati di ogni forma di tutela avverso le violazioni del principio di parità di genere nelle competizioni elettorali, principio che è stato per essi espressamente affermato dallo stesso legislatore.

Secondo il rimettente, pur godendo il legislatore di ampia discrezionalità nella materia elettorale, la scelta compiuta con le disposizioni rivolte ai comuni sotto i 5.000 abitanti supererebbe i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, giacché essa sarebbe incoerente con le finalità proprie della normativa cui pertiene e opererebbe un non corretto bilanciamento degli interessi in gioco, non idoneo a promuovere la parità di genere nell’accesso alle cariche elettive. Né la scelta legislativa potrebbe trovare giustificazione nella presunta difficoltà di individuare donne candidate in contesti abitativi di piccole dimensioni, posto che non vi è un obbligo di candidare persone residenti nel comune interessato dalla competizione elettorale e che, comunque, eventuali difficoltà a formare liste derivanti dalla carenza demografica prescinderebbero dal genere dei candidati.

La Suprema Corte, accogliendo la ricostruzione operata dal giudice remittente, ha rilavato che la normativa vigente non è idonea a garantire la parità di genere, pur prevista per legge, nelle elezioni svolte nei comuni di minore dimensioni proprio a causa dell’assenza di sanzioni, e ha ritenuto pertanto applicabile anche ad essi il medesimo apparato sanzionatorio già previsto nei comuni più grandi, ovvero l’esclusione delle liste che non rispettino il vincolo dell’equilibrio di genere.

Riscontrata, infatti, la violazione della normativa vigente rispetto agli artt. 3, comma 2 e 51, comma 1, Cost., sotto tutti i profili prospettati, la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente adeguato e meritevole di accoglimento anche l’intervento richiesto dallo stesso rimettente per porvi rimedio, individuato nell’estensione al caso di specie della sanzione dell’esclusione della lista, già prevista per i comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (ex art. 33, comma 1, lettera d-bis), d.P.R. n. 570/ 1960).

Per un verso, la sanzione dell’esclusione della lista in caso di violazione delle condizioni prescritte dalla legge per la sua ammissibilità è già presente nella normativa in esame. Si tratta, infatti, del rimedio che – diretto a sanzionare in via generale l’ipotesi in cui la cancellazione dei candidati eccedenti la quota di legge comporti la violazione della soglia minima di candidati prescritta per l’ammissibilità della lista – colpisce, nei comuni con più di 15.000 abitanti, la stessa violazione alla quale si intende estenderlo, ossia il caso estremo della lista formata da candidati di un solo sesso.

Per altro verso, da un punto di vista più generale, la soluzione prospettata si inserisce nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore: essa non altera il complessivo sistema delle misure di promozione della parità di genere (come delineato dalla l. n. 215/2012), che conserva comunque il carattere di gradualità in ragione della dimensione dei comuni, e conserva per quelli piccoli il solo obbligo della rappresentanza di entrambi i sessi nelle liste, limitandosi a garantirne l’effettività con l’introduzione di una sanzione per il caso di sua violazione.

Data tale interpretazione conforme al dettato costituzionale, la Corte ha chiarito che resta ferma, in ogni caso, la possibilità per il legislatore di individuare, nell’ambito della propria discrezionalità, altra – e in ipotesi più congrua – soluzione, purché rispettosa dei principi costituzionali, nonché l’armonizzazione del sistema, anche considerando il caso dei comuni con popolazione da 5.000 a 15.000 abitanti, nei quali la riduzione della lista non può andare oltre il numero minimo di candidati prescritto.

 

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