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Bilancio di genere dello Stato: segnali incoraggianti dal PNRR

Attualità - Claudia Carchio - 2 Marzo 2022

 

La redazione del  Bilancio di genere, prevista dall’art. 38-septies l. n. 196/2009, introdotto nel 2016 dal d.lgs. n. 90, rappresenta una sfida per lo Stato: in sede di rendicontazione, deve essere data evidenza del diverso impatto delle politiche di bilancio sulle donne e sugli uomini, in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito.

Nel 2018, il d.lgs. n. 116 ha rafforzato la funzione di tale bilancio, ponendo l’accento sull’opportunità che tale strumento sia utilizzato come base informativa per promuovere la parità di genere tramite le politiche pubbliche, attraverso una maggiore trasparenza della destinazione delle risorse e un’analisi degli effetti delle suddette politiche in base al genere. A tal fine, le risorse devono essere ridefinite e ricollocate tenendo conto dell’andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) inseriti nel Documento di Economia e Finanza (DEF).

In attuazione di tale previsione normativa negli ultimi anni il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato in collaborazione con l’ISTAT e il Dipartimento delle pari opportunità ha presentato, a partire dal rendiconto 2016 e, da ultimo, per l’anno 2020, un bilancio di genere “a consuntivo”, accompagnato da periodiche Relazioni al Parlamento che danno conto dell’istruttoria svolta e dei criteri seguiti ai fini della sperimentazione prevista dalla legge.

Nella quinta edizione della Relazione al Parlamento sul bilancio di genere (del 27 dicembre 2021 -Doc. XXVII, n. 27), si evidenzia come gli interventi diretti alla riduzione dei divari di genere adottati nel 2020, con la legge di bilancio e con provvedimenti successivi, riguardano principalmente la conciliazione tra vita privata e lavorativa e il contrasto alla violenza di genere, ma sono presenti anche diverse misure relative a: la tutela del lavoro, previdenza e assistenza, la tutela e il sostegno della maternità, la partecipazione ai processi decisionali economici, politici e amministrativi, istruzione e interventi contro gli stereotipi di genere, salute, stile di vita e sicurezza e il mercato del lavoro. Alcune misure sono state adottate ex novo, altre invece costituiscono una proroga di misure precedenti.

A completamento di tale quadro, si deve ricordare che dall’8 marzo 2021, il Servizio studi della Camera dei Deputati ha avviato in via sperimentale l’analisi di impatto di genere quale elemento dei dossier di documentazione sulle proposte di legge di iniziativa parlamentare all’esame della Camera stessa.

Le principali risultanze del Bilancio di genere 2020, illustrate l’8 febbraio 2022 dalla sottosegretaria per l’Economia e le Finanze alle Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato, hanno evidenziato, prioritariamente, gli effetti differenziati della pandemia del Covid-19 nei confronti di uomini e donne.

A differenza delle crisi precedenti, l’impatto di quella pandemica è stato particolarmente negativo per le donne e ha contribuito ad ampliare i divari di genere preesistenti in ambiti chiave del benessere. Non solo si è assistito a una significativa perdita di posti di lavoro nei settori a prevalenza femminile, ma anche a un peggioramento delle condizioni di lavoro, a un incremento della fragilità economica e a un aumento del conflitto vita-lavoro.

I principali indicatori del mercato del lavoro sono peggiorati per le lavoratrici: il tasso di occupazione femminile nel 2020 è sceso al 49% (quando per la prima volta nel 2019 aveva superato il 50%) mentre il divario rispetto a quello maschile è salito a 18,2 punti percentuali (contro i 17,9 del 2019).

La crisi ha poi avuto maggiori ripercussioni ove la situazione era già più critica prima del Covid-19: tra le donne più giovani e residenti nel Mezzogiorno, per le quali si registrano anche livelli particolarmente elevati del tasso di mancata partecipazione al lavoro. Anche le donne con figli, soprattutto se in età prescolare, hanno risentito negativamente della crisi pandemica.

Con tali risultati, l’Italia si colloca in fondo alle graduatorie europee relative ai livelli dell’occupazione femminile e ai divari di genere sul mercato del lavoro, in particolare nella fascia di età 25-49 anni. Tale situazione sul mercato del lavoro deve essere letta congiuntamente all’aggravio delle responsabilità di cura domestica e familiare, caratterizzate ancora oggi da una ripartizione fortemente asimmetrica tra uomini e donne, in virtù di consolidati stereotipi che ne attribuiscono la quasi esclusiva competenza alle donne. In tale contesto, potrà esservi un riequilibrio in termini di uguaglianza di genere sul mercato del lavoro solo ove vi sia un cambiamento di prospettiva che metta in discussione la visione tradizionale per cui uomini e donne sono naturalmente deputati ad attività diverse e porti alla eguale condivisione delle responsabilità lavorative e familiari.

Su questo aspetto la pandemia del Covid-19 ha costituito un vero e proprio banco di prova poiché le restrizioni imposte per il contenimento del virus hanno determinato carichi di cura addizionali (ad esempio, a causa dell’interruzione di servizi per l’infanzia e dello svolgimento della didattica a distanza) che hanno finito per sovraccaricare il lavoro complessivo delle donne: chi ha potuto svolgere il lavoro retribuito da remoto lo ha fatto in uno spazio-tempo coincidente con quello del lavoro non retribuito di cura, in altri casi, invece, si è assistito addirittura alla riduzione e all’abbandono del lavoro retribuito da parte delle donne.

I dati contenuti nel Bilancio segnalano un vero e proprio “fallimento redistributivo” del tempo di lavoro e di cura tra uomini e donne nel corso del 2020. Proprio come accadeva prima dell’emergenza Covid-19, anche durante la prima e la seconda ondata della pandemia, le donne hanno dedicato un numero maggiore di ore al lavoro domestico e familiare rispetto agli uomini senza che la tradizionale suddivisione dei ruoli di genere all’interno delle coppie abbia riportato alcun cambiamento.

A dimostrazione di queste evidenze, soccorrono i dati relativi alle dinamiche di genere nell’utilizzo degli strumenti introdotti per far fronte alla situazione emergenziale, i quali dimostrano che le donne sono state le principali utilizzatrici dei congedi Covid-19, del bonus baby-sitting e del lavoro agile.

Con particolare riguardo al lavoro agile, il Bilancio sottolinea la necessità di superare la visione propria della fase emergenziale in cui tale modalità di lavoro ha costituito un’alternativa ai congedi, e considerarlo come incompatibile con il contemporaneo svolgimento di attività di cura, giacché solo in tal modo lo smart working potrà migliorare la qualità della vita in uno con la produttività del lavoro.

Un ulteriore ambito in cui la pandemia del Covid-19 ha avuto delle pesanti ricadute è quello della violenza di genere, ove le misure di confinamento hanno comportato una maggiore esposizione al rischio di violenza domestica, a difficoltà nel ricorrere alle reti sociali di supporto, a una accresciuta insicurezza e dipendenza economica delle donne.

Tale fenomeno è stato riscontrato non solo a livello nazionale ma anche internazionale, tanto che nelle analisi delle Nazioni Unite si è parlato di “pandemia ombra”.

I dati illustrati nel Bilancio confermano poi che, purtroppo, il nostro Paese è ancora molto in ritardo nel contrastare pure il fenomeno della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, che porta le donne a subire, oltre alla violenza di genere, anche il mancato riconoscimento della stessa da parte di coloro dovrebbe garantirne la tutela.

Le cause di una simile “moltiplicazione della violenza” devono essere ricercate nella permanenza di stereotipi di genere, ma soprattutto, in una carente formazione degli attori coinvolti nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, quali forze dell’ordine, operatori sanitari, giudici, assistenti sociali. Si rendono, perciò, necessari interventi mirati, urgenti e radicali, che operino in ambiti di competenza e a livelli diversi.

Quanto all’opera di riclassificazione delle spese del bilancio dello Stato, il Bilancio di genere si configura come uno strumento complesso volto, da un lato, ad individuare le risorse stanziate ed erogate in favore delle pari opportunità di genere (dentro e fuori dell’amministrazione) e, dall’altro, a verificare l’impatto degli interventi su tra uomini e donne.

Nel 2021 le spese di bilancio con effetti diretti sulle disuguaglianze di genere e quelle con effetti indiretti, al netto delle spese per il personale, sono cresciute in termini assoluti, sebbene il loro peso in termini di incidenza sul totale delle spese sia ancora esiguo, rispettivamente 0,56% e 13,6%.

Tra le spese con effetti diretti, la parte più consistente è riconducibile alle misure di conciliazione vita-lavoro adottate durante l’emergenza Covid, mentre quelle indirette sono ripartite tra più politiche settoriali.

In ogni caso, l’esercizio di riclassificazione delle spese da parte delle diverse amministrazioni continua a presentare criticità, che si traducono in un peso eccessivo delle spese considerate neutrali sotto il profilo del loro impatto di genere e che sono dovute alla difficoltà di dare piena attuazione al gender mainstreaming, quale tecnica per programmare e valutare adeguatamente gli interventi di policy.

Al riguardo, sebbene si debba constatare che la crisi pandemica ha determinato un arretramento complessivo nell’uguaglianza di genere, si deve però anche considerare che gli interventi pensati per la ripresa sono caratterizzati da una revisione di fondo dei principi ispiratori e delle modalità di azione da realizzare.

Con la stesura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), infatti, è stata rimarcata l’urgenza di contrastare le disuguaglianze di genere, nonché si consolidata la necessità di adottare un approccio di gender mainstreaming delle politiche pubbliche, basato sulla trasversalità della dimensione di genere rispetto ai diversi ambiti di intervento.

In tale logica, la valutazione dell’impatto di genere deve riguardare tutte le fasi, dalla programmazione, all’attuazione, al monitoraggio, al controllo ex-post, delle politiche, ma certamente deve coinvolgere anche il processo di allocazione delle risorse. Considerare, infatti, che le politiche e la distribuzione delle risorse a esse destinate producono risultati differenziati per uomini e donne è il primo passo per un cambiamento effettivo nell’organizzazione della società e nel raggiungimento del benessere collettivo, il quale passa imprescindibilmente attraverso il riconoscimento dell’uguaglianza di genere.

Basta a tale proposito considerare che quelle che sono definite “politiche di genere”, sono generalmente riferite alle donne, secondo una concezione erronea che tende a rappresentarle come una categoria svantaggiata, quando invece esse rappresentano più della metà della popolazione.

All’esito dell’analisi e delle valutazioni contenute nel Bilancio di genere del 2020, emergono alcuni importanti spunti per la sua redazione futura, quali in particolare l’opportunità di:

– integrare il Bilancio di genere in un quadro strategico di obiettivi per la parità di genere: in tal senso, nel 2021, segnali positivi sono giunti dalla presentazione della prima Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che ambisce a guadagnare 5 punti nella classifica del Gender Equality Index dell’EIGE entro il 2026, migliorando il contesto negli ambiti del lavoro, i redditi, le competenze, il tempo e il potere, monitorando i progressi in tali settori con l’adozione di un insieme di indicatori specifici;

– consolidare il bilancio di genere superando l’attuale sperimentazione e integrando la prospettiva di genere (gender mainstreaming) nel processo di formazione del bilancio, rafforzando dunque il potenziale impatto di quest’ultimo: da questo punto di vista è stato ricordando che nel PNRR, uno dei traguardi della riforma relativa alla revisione della spesa, prevede che la legge di bilancio 2024 presenti una classificazione delle voci previste secondo i criteri alla base degli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’Agenda ONU 2030, relativamente al bilancio di genere e al bilancio ambientale.

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