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Attenuazione dell’onere della prova nell’azione antidiscriminatoria

Giurisprudenza - Claudia Carchio - 16 Settembre 2020

Una lavoratrice, dopo aver sottoscritto nel 2011 un contratto di apprendistato professionalizzante al quale non è seguita la stabilizzazione del rapporto di lavoro, denunciava, ai sensi dell’art. 38, d.lgs. n. 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), di essere stata vittima di discriminazione basata sul sesso e sullo status di madre di figlio minore a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato di colleghi di sesso maschile che avevano stipulato nello stesso giorno il medesimo contratto di apprendistato.

La domanda, respinta con decreto, era stata accolta dal Tribunale in esito all’opposizione della lavoratrice e successivamente rigettata dalla Corte di appello, la quale, ritenendo insufficiente il quadro probatorio fornito dalla lavoratrice in ordine alla discriminazione lamentata per carenza dei requisiti di precisione e concordanza, non aveva conseguente ammesso neppure la società datrice ad assolvere all’onere probatorio contrario ex dell’art. 40, d.lgs. n. 198/2006.

Il ricorso per Cassazione promosso avverso tale pronuncia dalla lavoratrice e affidato a plurimi motivi – tesi essenzialmente a rilevare il malgoverno delle risultanze istruttorie, la violazione del regime probatorio attenuato di cui all’art. 40 del Codice delle pari opportunità nonché la carenza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione – è stato respinto dalla Corte adita con la sentenza, 15 giugno 2020, n. 11530.

In primo luogo, la Corte di legittimità ha escluso ogni carenza e/o illogicità di motivazione della pronuncia di merito, sia nella parte in cui ha ritenuto estraneo alla materia del contendere il profilo discriminatorio fondato sullo stato di genitore unico affidatario di figlio minore in quanto tardivamente dedotto in fase di gravame e non anche con l’originario ricorso avanti al Tribunale, sia nella parte argomentativa posta alla base del rigetto nel merito della domanda intesa a far valere la discriminazione legata al sesso e alla maternità.

Quanto alla discriminazione per sesso, la Corte d’appello, prendendo in considerazione un arco temporale di riferimento più ampio rispetto a quello proposto dalla lavoratrice, cioè il quadrimestre settembre/dicembre 2011 e non già il solo giorno di stipulazione del contratto di apprendistato professionalizzante o il mese di settembre 2011, ha correttamente ritenuto di acquisire dati di maggior valenza statistica: da un punto di vista logico, infatti, ed in generale della scienza statistica, l’estensione dell’arco temporale di riferimento, implicando l’acquisizione di un maggior numero di dati da comparare, conferisce maggiore attendibilità alla ricostruzione statistica di un determinato fenomeno. Da tale rilevazione era per giunta emerso che tanto le stabilizzazioni dei rapporti di lavoro, quanto le mancate stabilizzazioni, avevano parimenti riguardato uomini e donne, minando così in radice la doglianza di discriminazione legata al sesso.

Con riguardo alla discriminazione fondata sulla maternità, invece, la circostanza che nel quadrimestre settembre/dicembre 2011 le sole due lavoratrici stabilizzate “sembravano” non essere madri, è stata correttamente ritenuta dato insufficiente ad integrare le precise e concordanti presunzioni idonee a sorreggere l’assunto di una discriminazione fondata sulla maternità.

Da ultimo, la Corte di Cassazione, dopo aver dichiarato l’inammissibilità delle censure con cui la lavoratrice aveva denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 del Codice della pari opportunità, ha chiarito la portata precettiva di tale previsione, la quale non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario. Essa, infatti, prevede a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia UE 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (o, come nel caso di specie, in ragione dello stato di maternità).

La pronuncia in commento, nel ribadire che, nell’ambito delle discriminazioni per sesso, l’onere probatorio a carico della parte datoriale sussiste solo nel caso in cui la parte lavoratrice abbia previamente assolto all’onere su di essa gravante di fornire, anche desumendoli dati di carattere statistico, elementi precisi e concordanti, fornisce una chiara indicazione sulla porta applicativa del regime probatorio di cui all’art. 40 Codice delle pari opportunità, estensibile, per analogia con la norma di cui all’art. 28, 4° comma, d.lgs. n. 150/2011, anche alle altre ipotesi di discriminazione, indipendentemente dal fattore su cui esse si presumono fondate.

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Testo della decisione

 

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