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Andate e certificatevi ! Il PNRR per la formalizzazione della parità di genere nelle imprese

Attualità - Anna Zilli - 4 Maggio 2021

 

 

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza  introduce il sistema di certificazione della parità di genere, che <<accompagni e incentivi le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gap di genere in tutte le aree maggiormente “critiche” (opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere, tutela della maternità)>>.
Si tratta di una tra le misure suggerite per la parità salariale tra donne e uomini anche nelle proposta di direttiva europea sulla trasparenza salariale, di cui molto si discute in questo momento.

La misura, sostenuta con 10 milioni di euro, dovrebbe diventare operativa dal 2022, una volta che il meccanismo e il sistema premiale saranno definiti nell’istituendo Tavolo di lavoro sulla “Certificazione di genere delle imprese” presso il Dipartimento Pari Opportunità, dove già si è insediata la Task Force delle Donne per un nuovo Rinascimento.

Il sistema di certificazione sarà aperto a tutte le imprese (grandi, medie, piccole e microimprese) e, nella fase sperimentale (che dovrebbe durare sino al 2026), la certificazione sarà agevolata per le imprese di medie, piccole e micro-dimensioni, e sorretta da servizi di accompagnamento e assistenza che andranno costruiti nei prossimi mesi.

Si tratta di una misura opportuna, che però presenta al momento numerose criticità.

Si deve innanzitutto ricordare che esistono già certificazioni etiche, la più famosa delle quali è  SA (Social Accountability) 8000, uno standard di riferimento riconosciuto a livello internazionale nato con l’obiettivo di garantire ottimali condizioni di lavoro: si tratta di un accreditamento efficace che consente alle organizzazioni che lo adottano la corretta gestione e il monitoraggio costante di  attività e processi  che impattano sulle tematiche inerenti le condizioni dei lavoratori (diritti umani, sviluppo, valorizzazione, formazione e crescita professionale delle persone, salute e sicurezza dei lavoratori, non discriminazione, lavoro dei minori e dei giovani) e che si estende anche a fornitori e subfornitori.

Rispetto a tali certificazioni, il PNRR propone un percorso volontario ma con incentivi, che si rivolge certamente a chi sia consapevole di un problema di genere nella propria realtà aziendale. Questa consapevolezza è spesso del tutto assente assente nei luoghi di lavoro e, al contrario, chi ne è edotto si mette in marcia senza incentivi, perché la parità è giusta e pure conviene, in termini di diminuzione dei rischi e incremento della crescita.

Quindi, da questo punto di vista, l’incentivo per chi non sia già convinto del valore della parità dovrebbe essere davvero essere molto forte: ma la somma messa a disposizione non pare al momento sufficiente a formare una “massa critica” di imprese, in grado di smuovere il mercato verso il superamento del divario di genere.

Altresì, è necessario che i soggetti coinvolti siano in grado di supportare il cambiamento di chi voglia intraprendere un percorso di lotta al gender gap: consulenti del lavoro, commercialisti, consulenti aziendali dovrebbero essere i primi a conoscere tecniche e strumenti per la parità di genere nel lavoro, che non significa semplicemente applicare lo stesso contratto collettivo a donne e uomini a parità di inquadramento, ma realizzare pari opportunità nelle assunzioni, carriere, trattamenti ad personam e benefits (quantomeno). Anche su questo punto, si dovrà lavorare moltissimo.

Infine, il contesto: se il gender pay gap stipendiale è del 14,3% e quello orario il 3,7%, non si può non vedere come  il tasso di occupazione femminile sia solo del 49% (contro il 67,2% maschile) e il gender gap complessivo in Italia comporti per le donne redditi (da lavoro prima e  da pensione poi) inferiori del 44% a quelli degli uomini, perché lavorano un numero inferiore di ore, svolgendo attività peggiori e più precarie, con orari più brevi, o in part-time, senza miglioramenti di carriera. Rispetto al contesto, non c’è incentivo aziendale che tenga: servono tutte quelle misure (dagli asili nido, alla rimodulazione del calendario scolastico) che non riguardano il lavoro delle donne ma le condizioni affinché le donne con figli possano lavorare quanto e come desiderano.

 

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