L’educazione previdenziale per i pensionati (e le pensionate !) di domani
La Giornata Internazionale dell’Educazione, celebrata lo scorso 24 gennaio, rappresenta una importante occasione per continuare a riflettere sull’importanza di tale diritto, nelle sue diverse declinazioni, dalla prospettiva antidiscriminatoria.
La chiave di lettura qui adottata è quella della educazione (o alfabetizzazione) finanziaria, definita dall’OCSE come «l’insieme di consapevolezza, conoscenze, competenze, atteggiamenti e comportamenti in materia finanziaria, necessari alla realizzazione di decisioni finanziarie valide e in definitiva al raggiungimento del benessere finanziario individuale». Si tratta di un tema che è già stato affrontato su questo Portale, nell’ambito del “Mese dell’Educazione Finanziaria”, e che viene promosso, ormai da alcuni anni, dal “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria”, con iniziative volte a supportare la popolazione nell’operare scelte consapevoli sul piano finanziario, assicurativo e previdenziale. L’obiettivo di tali azioni pare particolarmente ambizioso nel nostro contesto nazionale, ove si considerino gli ultimi dati del rapporto Edufin 2022 (il Rapporto che analizza annualmente le conoscenze finanziarie, assicurative e previdenziali delle famiglie italiane). Infatti, il Report mostra come, nell’anno appena concluso, le conoscenze finanziarie percepite dai cittadini si attestino su livelli molto bassi, in graduale diminuzione nell’ultimo periodo, parallelamente a una crescente complessità della situazione economica nazionale e internazionale.
In questa sede, si intende focalizzare l’attenzione sulla “educazione previdenziale”, ossia su quella particolare branca dell’educazione finanziaria che pone al centro le scelte finanziarie di lungo periodo dei cittadini, con l’intento di supportarli nella costruzione – sin dai primi anni della carriera lavorativa – del proprio futuro pensionistico. In tale campo, infatti, si gioca una partita fondamentale per evitare che le diseguaglianze presenti nel mercato del lavoro di oggi si ripercuotano in altrettante (e ulteriori) disparità di trattamento nel futuro previdenziale dei pensionati di domani. Sotto questo aspetto, riprendere alcuni passaggi sull’evoluzione più recente del nostro sistema pensionistico può essere utile a comprendere meglio il perché.
Nel nostro Paese, da oltre 25 anni (ossia dalla riforma dell’assetto pensionistico nazionale del 1995), si assiste a un graduale processo di irrigidimento del sistema pubblico, volto a garantire la sostenibilità finanziaria degli schemi previdenziali a fronte della costante diminuzione del rapporto tra lavoratori attivi – che finanziano, con la propria contribuzione, le attuali pensioni – e pensionati. Si tratta di un processo che intercetta, inevitabilmente, la garanzia dei trattamenti “adeguati” (ex art. 38, Cost.), anche per coloro che sono soggetti a carriere lavorative maggiormente discontinue (in primis, giovani e donne) e che, quindi, rischiano di avere un livello di contribuzione più basso e meno costante nel tempo. Nelle intenzioni del legislatore, un ruolo essenziale in questo ambito dovrebbe essere rivestito dagli strumenti pensionistici sviluppati nel mercato privato che siamo soliti ricomprendere nel campo della “previdenza complementare”. Un vero e proprio “secondo pilastro” del sistema pensionistico, volto a compensare il basso tasso di sostituzione del sistema pubblico, attraverso strumenti ulteriori ai quali i lavoratori possono volontariamente aderire.
A fronte della “volontarietà”, che rimane alla base dell’adesione a queste forme di previdenza, emerge l’importanza di un’adeguata educazione previdenziale degli attuali e, soprattutto, dei futuri lavoratori. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla COVIP, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione, giovani e donne – ossia coloro che per i motivi appena delineati necessiterebbero maggiormente di soluzioni integrative – appaiono come i “punti deboli” del mondo della previdenza complementare. In primo luogo, infatti, tra gli 8,8 milioni di aderenti alla previdenza complementare alla fine del 2021, solo il 17,8% ha meno di 35 anni, con un sostanziale immobilismo di questa percentuale tra il 2017 e il 2021. Inoltre, i dati evidenziano come, sul totale degli iscritti ai fondi, la componente femminile appaia minoritaria, dato che le donne rappresentano il 38,2% degli aderenti totali, contro il 61,8% degli uomini.
Per spiegare queste distorsioni strutturali del sistema, come sottolineato da Covip, non è sufficiente ricollegarle al minor tasso di attività delle due categorie. Le donne e i giovani, ove occupati, mostrano comunque una minore inclinazione a partecipare alla previdenza complementare: con riferimento alle prime, si tratta del 18% in meno rispetto agli uomini, mentre per quanto riguarda i giovani, l’autorità evidenza una partecipazione della fascia di età 25-34 anni inferiore di 21 punti percentuali rispetto alla fascia di età 35-44 anni. Incidono fortemente, in questo caso, i divari salariali e le carriere maggiormente discontinue, che scoraggiano la propensione a “investire” sul proprio futuro previdenziale.
Dinanzi a tali squilibri, non sono mancati i tentativi di intervento sia da parte del legislatore, sia delle parti sociali, che rivestono un ruolo particolarmente importante in questo campo, promuovendo, attraverso la contrattazione collettiva, i fondi negoziali. Quanto alle azioni legislative, preme evidenziare come sia stato previsto, sin dal D. Lgs. n. 252/2005 (art. 8, c. 6) un particolare regime di deducibilità dei contributi versati per i primi 5 anni di partecipazione ai fondi di previdenza integrativa, più favorevole rispetto al regime ordinario. Per quanto concerne, invece, le politiche contrattual-collettive, occorre osservare come, in alcuni importanti rinnovi contrattuali dell’ultimo periodo (per esempio il CCNL dell’industria metalmeccanica, il CCNL servizi ambientali e il CCNL somministrazione), gli attori delle relazioni industriali abbiano introdotto particolari incentivi economici per i neoassunti, per i giovani under-35 e per i lavoratori occupati con contratto di somministrazione.
Tuttavia, l’impressione è che, al di là del (pur importante) fattore economico, il vero nodo critico legato alla scarsa partecipazione ai fondi di previdenza complementare rimanga quello della mancata consapevolezza delle opportunità offerte da tali strumenti, nonché, più in generale, delle proprie scelte finanziarie. Al riguardo, la fotografia che ci consegna l’ultima indagine Mefop, svolta in collaborazione con l’Osservatorio welfare dell’Università Luiss di Roma, mostra bene alcuni aspetti su cui riflettere. In primo luogo, la ricerca evidenzia come il livello di informazione sulla previdenza complementare sia ancora molto modesto tra i cittadini, con il 62% del campione che afferma di conoscere poco o nulla dei vantaggi offerti dal sistema di previdenza complementare e uno “zoccolo duro” della popolazione (in primis, i giovani, per le difficoltà legate ad accumulare un risparmio nelle prime fasi della propria carriera) che non prende minimamente in considerazione la possibilità di aderire a un fondo pensione. Inoltre, guardando agli squilibri di genere, colpisce il dato relativo all’educazione finanziaria: il 67% delle donne intervistate dichiara di essere poco o per nulla preparata rispetto alle proprie scelte di risparmio, trainando il dato nazionale, che vede una prevalenza dei “poco preparati” (58% contro 42%).
Allo stato attuale, quindi, appare cruciale continuare a investire, a livello istituzionale e nei luoghi di lavoro, per una conoscenza “diffusa” degli strumenti, delle opportunità e delle implicazioni legate al proprio futuro previdenziale, sì da contrastare le disparità poc’anzi descritte. Iniziare dalle scuole rappresenta sicuramente un primo passo importante, anche per sfruttare le potenzialità degli strumenti digitali. In un secondo momento, invece, è necessario proseguire questo percorso con il supporto attivo di aziende, parti sociali e operatori del settore, non limitato al “Mese dell’educazione finanziaria”, ma sviluppato su iniziative di promozione e sensibilizzazione nei luoghi di lavoro, in stretto raccordo con le politiche incentivanti. Altrimenti, il paradosso che si prospetta è che la previdenza complementare, oltre a non diventare uno strumento a vocazione universale, contribuisca ad ampliare i divari già esistenti tra insiders e outsiders del mercato del lavoro.