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Sotto esame le leggi anti LBGTIQ+ dell’Ungheria

Attualità - Nicola Deleonardis - 26 Ottobre 2022

Il 15 luglio 2022, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria, sottoponendo al giudizio della Corte di Giustizia le recenti decisioni del governo ungherese. Il congelamento dei fondi europei del Recovery and Resilience Facility, che sarebbero stati destinati all’Ungheria, infatti, non ha prodotto i risultati sperati. La procedura del deferimento alla CGUE viene attivata qualora gli Stati membri UE non rispettino i principi e non applichino le regole che costituiscono il fondamento dell’ordinamento europeo.

In questo caso, l’attenzione della Commissione si è concentrata sulla campagna anti-LGBTIQ+ delle autorità ungheresi.

La procedura di infrazione dell’Ue è stata avviata in relazione alla cd. “legge anti-pedofilia” del 23 giugno 2021, che mira a vietare o limitare ai minori di 18 anni l’accesso a contenuti che presentano la cosiddetta “divergenza tra la propria identità e il sesso attribuito alla nascita, il cambiamento di sesso o l’omosessualità”. Sebbene la tutela dei minori sia un legittimo interesse pubblico condiviso e perseguito dall’UE, nel caso di specie l’Ungheria non ha spiegato perché l’accesso a siffatti contenuti sarebbe in sé dannoso per il loro benessere.

La Commissione ha, pertanto, contestato all’Ungheria la violazione della Direttiva sui servizi di media audiovisivi, riguardante la libera prestazione e circolazione dei servizi di media audiovisivi, in quanto sarebbero state introdotte restrizioni ingiustificate che, da un lato, discriminano le persone in base all’orientamento sessuale e, dall’altro, sono sproporzionate.

In secondo luogo, si contesta la violazione della Direttiva sul commercio elettronico, in quanto si vieta la trasmissione di contenuti multimediali che mostrano ai minori i diversi orientamenti sessuali, anche quando tali servizi provengano da altri Stati membri.

Si aggiunga che, da un punto di vista procedurale, l’Ungheria non avrebbe notificato per tempo alcune delle disposizioni controverse alla Commissione, violando la Direttiva sulla trasparenza nel mercato unico.

La Commissione, inoltre, ha rilevato una violazione da parte dell’Ungheria dei principi del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e, nello specifico, delle norme a tutela della libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e libera circolazione delle merci (art. 34 TFUE) all’interno dello spazio eurocomunitario, non avendo dimostrato che le restrizioni siano debitamente giustificate, non discriminatorie e proporzionate.

Infine, e soprattutto, la Commissione ha ritenuto che le disposizioni ungheresi violino la dignità umana, la libertà di espressione e di informazione, il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla non discriminazione sanciti rispettivamente dagli artt. 1, 7, 11 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A causa della gravità di tali violazioni, le norme contestate disattendono anche i principi di cui all’articolo 2 TUE, quali il “rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”.

Un esempio concreto dell’applicazione di tali regole può essere la decisione dell’Autorità ungherese per la tutela dei consumatori, che ha imposto all’editore di un libro per l’infanzia, che ritrae persone LGBTIQ+, di includere una “clausola di esclusione della responsabilità” volta a sottolineare come l’omosessualità si “discosti dai ruoli di genere tradizionali”.

L’eliminazione di ogni riferimento alle diversità tout court dai mezzi di comunicazione si inserisce in una “strategia di occultamento”, già nota e attuata dal regime fascista negli anni del Ventennio (N. Deleonardis, Dall’uomo nuovo alle persone libere), è incompatibile con i principi e valori dell’Unione Europea.

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