clinica legale

L’importanza del metodo clinico nella formazione universitaria

Materiali - Francesca Pollicino - 31 Gennaio 2022

 

Affiancare lo studio teorico ad attività pratiche sta sempre più caratterizzando i corsi di laurea di stampo umanistico. Ciò è vero anche per il corso di laurea in giurisprudenza, sebbene ciò non meravigli particolarmente stante il carattere pratico di questa scienza e la funzione preminente del diritto, ossia l’organizzazione della vita sociale.

Già nel 1935, Francesco Carnelutti, sulle pagine della Rivista di diritto processuale civile affrontò il tema della clinica del diritto, invitando gli studiosi a uscire dalle università e diventare giuristi pratici. Un invito rivolto in primo luogo agli studenti, data l’importanza (e per certi versi, la necessità) di acquisire un approccio pratico ai problemi giuridicamente rilevanti, fin dalle aule universitarie. Sembra quasi un messaggio nella bottiglia, che l’illustre studioso di origini udinesi ci ha lasciato e che le università stanno riscoprendo a tanti anni di distanza. Infatti, solo di recente, gli atenei italiani hanno inserito nella loro proposta formativa le cliniche legali.

Ci sembra che questo articolo debba essere largamente conosciuto e per questo abbiamo deciso di diffonderlo attraverso questo post. Per invogliare a una lettura integrale del testo, sono state scelte tre citazioni che ci sono sembrate significative.

 

“I giuristi hanno a che fare col concreto”

Si tratta di un’evidenza davanti alla quale si trovano tutti gli studenti e le studentesse dopo aver concluso il loro percorso universitario. Per molte e molti è quasi una sorpresa, tutte le volte in cui lo studio universitario si è mantenuto su un livello esclusivamente teorico.

Anche qualora la preparazione teorica sia eccezionale, si tratta di una formazione incompleta, perchè il mondo del lavoro esige (anche) praticità e competenze applicative e comunicative. Partecipando alle udienze in Tribunale o iniziando a lavorare in uno studio legale o notarile, spesso ci si accorge che le tante nozioni apprese non sono sufficienti per affrontare questioni concrete. 

In questo momento, a livello nazionale è in corso una riflessione sul programmi di studio delle facoltà di giurisprudenza. Forse, i tempi sono maturi non solo per rinnovare i contenuti di quei programmi, ma anche il metodo di insegnamento del diritto.

In ogni caso, nei corsi di laurea in cui le cliniche sono già attive, occorre che gli studenti e le studentesse colgano l’opportunità che gli viene offerta!

 

“Non si può diventare dottori senza aver mai visto un caso vivo del diritto”

Non c’è dubbio che il metodo di insegnamento clinico colmi una lacuna culturale a prescindere dalla materia a cui viene applicato. Illudersi che si possa cominciare a fare i conti con la realtà sociale una volta completati gli studi, attraverso il tirocinio in Tribunale o la pratica forense rischia – come si è fatto fin qui – di non fornire ai futuri professionisti tutti i mezzi di cui hanno bisogno, soprattutto per comprendere la funzione sociale del loro lavoro.

La clinica legale, in poche parole, non è solo un “metodo didattico”. La clinica è un’esperienza che apre lo studente, la studentessa ai fenomeni sociali e alla considerazione di casi concreti: attraverso la clinica  si può imparare e allo stesso tempo dare un senso (sociale) al percorso di studio prescelto.

 

“Fornire agli studenti non tanto un sapere ma un saper fare”

Il metodo clinico non è mai invecchiato, a leggere questa affermazione. 

Le cliniche legali consentono di applicare le conoscenze acquisite negli anni di studio universitario a casi concreti. Attraverso un apprendimento pratico, gli studenti e le studentesse sviluppano abilità e competenze ulteriori rispetto a quelle teoriche. Infatti, le cliniche legali anticipano l’esperienza di problem-solving tipica del lavoro di qualsiasi operatore del diritto, senza trascurare l’approfondimento teorico necessario allo studio di una certa disciplina.

La formazione clinica contribuisce a creare un mondo del lavoro in cui i/le laureati/e sanno fare il proprio lavoro e sono attenti/e alle esigenze della società.

Buona lettura!

 

 

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