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Il cambiamento climatico è discriminatorio?

Attualità - Loretta Moramarco - 14 Gennaio 2022

Il 14 dicembre si è tenuta, dinanzi al Tribunale civile di Roma, la prima udienza della causa intentata da 203 ricorrenti (17 minori, rappresentati in giudizio dai genitori, 162 cittadini e 24 associazioni) contro lo Stato italiano per conseguire l’osservanza, nei tempi e nei modi prescritti, delle obbligazioni positive di contrasto al cambiamento climatico. L’iniziativa giudiziaria è stata denominata “Giudizio Universale”.

L’atto di citazione presentato contro il governo italiano, liberamente accessibile, contiene un paragrafo sul diritto antidiscriminatorio che è opportuno esaminare.

«Il divieto di discriminazione di cui all’art. 14 CEDU è rilevante nel caso di specie in combinato disposto con gli art. 2 e 8 della CEDU. Riguardo ai bambini, si fa presente che l’impatto discriminatorio dell’inazione climatica dello Stato italiano va in una duplice direzione. In primo luogo, i bambini sono discriminati in quanto appartenenti, in ragione dell’età, a un gruppo particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico. In secondo luogo, i bambini sono discriminati anche perché l’inazione dello Stato italiano sul cambiamento climatico sposta in avanti e quindi addossa principalmente a loro l’onere ed il costo delle conseguenze nefaste di tali fallimenti».

I ricorrenti citano la sentenza della Corte Costituzionale tedesca nel caso Neubauer e la sentenza della Corte Suprema olandese nel caso Urgenda, che si occupano della lesione dei diritti dei minori, nonché il caso Duarte Agostinho et al c/ 33 Stati (app. n. 369371/20), pendente davanti alla Corte EDU, nel quale i ricorrenti invocano la tutela offerta dagli artt. 2, 8 e 14 della CEDU. In particolare, è dedotta la violazione dell’art. 14, in combinato disposto con gli artt. 2 e 8 della CEDU, in quanto il cambiamento climatico incide particolarmente sulle giovani generazioni. Considerata l’età dei ricorrenti (dagli 8 ai 21 anni), l’incidenza sui loro diritti è più intensa rispetto a quella subita dalle generazioni precedenti, dato il deterioramento progressivo nel tempo delle condizioni climatiche.

La causa intentata contro lo Stato italiano si inserisce in un filone di “cause climatiche” a livello internazionale, ben fotografato dal rapporto 2021 sul climate change litigation (Setzer J and Higham C, Global trends in climate change litigation: 2021 snapshot, Londra, 2021, Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment and Centre for Climate Change Economics and Policy, London School of Economics and Political Science). Nel rapporto, si dà atto che vi è stata una “svolta dei diritti” (rights-turn) nel contenzioso sul clima: i ricorrenti cercano di utilizzare argomenti incentrati sui diritti umani per fondare la responsabilità di governi e aziende. Nel 2020, 93 cause di questo tipo sono state intentate contro i governi, 16 nei confronti di imprese.

Il legame tra cambiamenti climatici e diritti umani (compreso il diritto a non essere discriminati) è stato sancito anche dal Preambolo dell’Accordo di Parigi in cui, al considerando 11, si riconosce che i cambiamenti climatici sono preoccupazione comune dell’umanità, le Parti, al momento di intraprendere azioni volte a contrastarli, dovrebbero rispettare, promuovere e prendere in considerazione i loro obblighi rispettivi nei confronti dei diritti umani, del diritto alla salute, dei diritti delle popolazioni indigene, delle comunità locali, dei migranti, dei minori, delle persone con disabilità e delle persone in situazioni di vulnerabilità, nonché del diritto allo sviluppo, all’eguaglianza di genere, all’emancipazione delle donne e all’equità intergenerazionale.

La causa italiana, così come i precedenti citati, guarda solo a un fattore di discriminazione, l’età, ma il catalogo delle discriminazioni prodotte dal cambiamento climatico appare anche più vasto: genere, etnia, disabilità sarebbero parimenti variabili da considerare.

 

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