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La lotta contro le (MULTI)discriminazioni delle persone con disabilità: dalla teoria alla pratica

Diversity & Inclusion - Massimiliano De Falco - 7 Gennaio 2022

La condizione delle persone con disabilità, che rischia di sfociare in episodi di discriminazione nei contesti sociali e di lavoro, può ulteriormente aggravarsi in presenza di ulteriori caratteristiche  (genere, età, origine etnica, orientamento politico, religioso o sessuale, convinzioni personali) idonee a moltiplicare le possibilità di particolare svantaggio ovvero che di un trattamento meno favorevolmente rispetto a un’altra in una situazione analoga. Il riferimento al prodotto di una moltiplicazione, per indicare il risultato dell’intreccio dei potenziali fattori di discriminazione, è esemplificativo del fatto che, non solo i singoli tratti identitari della persona possono costituire motivo (illegittimo) di esclusione, ma anche la loro combinazione.

Si tratta, infatti, delle cd. discriminazioni multiple, per cui la contemporanea appartenenza a più gruppi sociali “sfavoriti” rende la persona vittima di eventi lesivi della dignità, che si autoalimentano, in modo cumulativo, per via della compresenza dei differenti fattori di rischio.

In realtà, la letteratura sul tema ha avuto modo di identificare diverse fattispecie riconducibili a tale ipotesi di ingiustizia: per esempio, si parla di discriminazioni multiple in senso stretto [T. Makkonnen, Multiple, Compound and Intersectional Discrimination: Bringing the Experiences of the Most Marginalized to the Fure, 2002] ovvero di discriminazioni multiple sequenziali [S. Fredman, Intersectional Discrimination in EU Gender Equality and Non- Discrimination Law, 2016] quando «una persona è discriminata sulla base di più fattori e queste discriminazioni avvengono una alla volta, in situazioni diverse». L’espressione discriminazioni composite [T. Makkonnen, op. cit.] o discriminazioni multiple additive [S. Fredman, op. cit.], invece, indica il caso in cui «due o più fattori di discriminazione si aggiungono l’uno all’altro nella stessa situazione, ma possono essere distinti, non interagendo tra loro».

Si utilizza, inoltre, il termine discriminazioni intersezionali [K. Crenshaw, Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics, 1989; S. Fredman, op. cit.] per indicare «l’interazione tra discriminazioni basate su più fattori in modo sinergico e tale che esse non siano più scindibili», da cui «ne risulta una specifica forma di discriminazione qualitativamente diversa»: pertanto, le discriminazioni intersezionali si colgono «nelle situazioni in cui non vi sarebbe stata alcuna discriminazione se i fattori fossero stati presi in considerazione separatamente».

Sul fronte della produzione normativa de jure condendo, occorre poi sottolineare come la Proposta di Direttiva del Consiglio dell’Unione europea del 2008, recante «applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale», intenda per «discriminazione su fattori multipli» come «la discriminazione, in ognuna delle sue forme, che si verifica sulla base di ciascuna combinazione di due o più dei seguenti fattori, incluso quando la situazione non darebbe luogo a discriminazione multipla contro la persona interessata se essi fossero presi separatamente: religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale. La discriminazione su fattori multipli deve essere riconosciuta per rispecchiare la complessa realtà dei casi di discriminazione, così come per accrescere la tutela delle vittime di queste».

A ogni modo, la varietà di definizioni e di casistiche accolte è sintomatica del fatto che la discriminazione non sia sempre riferibile a un’unica dimensione della persona (come, per esempio, la disabilità), ma di come, talvolta, agiscano due o più fattori concomitanti. È ciò che, almeno sulla carta, era stato anticipato dalla Convenzione delle Nazioni Unite «sui diritti delle persone con disabilità» del 2006, in particolare nell’art. 6 rubricato «Donne con disabilità» (ove risalta l’espresso riferimento alle «discriminazioni multiple») e nell’art. 7 rubricato «Bambini – e non «Minori» come nella traduzione riportata – con disabilità» (anche se, in questo secondo caso, non è dato rinvenire alcun rinvio al possibile cumulo di fattori di rischio).

Rispetto al tema delle discriminazioni multiple cui sono soggette le persone con disabilità, sul piano pratico, pare opportuno segnalare l’ambizioso progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica. Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple, avviato nel giugno 2019, proposto dalla Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH) e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con il Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore. Al soggetto proponente – il cui ruolo propulsivo è già stato sottolineato su questo Portale, in relazione all’approvazione del recente Disegno di Legge Delega in materia di disabilità – spetta il merito di aver messo in luce un problema ancora poco conosciuto e indagato, attraverso un’iniziativa capace di costruire strumenti, formativi e informativi, di tutela e protezione dei diritti umani.

L’obiettivo del progetto è stato quello di affrontare il tema delle discriminazioni multiple – di cui, spesso, sono vittime le persone che assommano alla disabilità ulteriori caratteristiche tali da comportare specifici rischi di discriminazione – allo scopo di introdurre azioni e processi per elaborare, in modo partecipato e condiviso, strumenti di contrasto al fenomeno, promuovendo la disseminazione di una cultura improntata sull’inclusione e sulle pari opportunità.

Per il perseguimento di tali finalità, sono state attivate, anzitutto, cinque Comunità di pratica per la costruzione di saperi e strumenti condivisi, ognuna per ciascuno dei principali fattori di rischio che piò sommarsi alla disabilità (genere, età – sia con riguardo ai minori, che ai più anziani – cittadinanza, orientamento sessuale). Siffatte Comunità, costituite da nuclei di esperti sul tema, appartenenti sia al mondo associativo delle persone con disabilità, sia a realtà operanti sui diversi fattori si rischio, hanno inteso vitalizzare luoghi di scambio, studio e lavoro, ove condividere la conoscenza e l’esperienza, di modo da favorire l’identificazione e la diffusione di strumenti per il riconoscimento e il contrasto alle discriminazioni multiple.

Del pari, sono state condotte tre distinte attività di Ricerca sulle discriminazioni multiple vissute da donne con disabilità, stranieri con disabilità e persone con disabilità LGBT, volte a (far) conoscere le reali condizioni di vita e i molteplici rischi di esclusione, che sfuggono alla reportistica nazionale e agli approfondimenti statistico-quantitativi, oltre che – a monte – a una diffusa consapevolezza da parte dei cittadini. Tali indagini, affiancandosi agli (ancor timidi) studi empirici sul Diversity Management condotti dall’Istat, sono state sviluppate mediante due diverse metodologie di analisi fra loro complementari. In particolare, da un lato, si è proceduto a somministrare un questionario specifico per ciascuno degli ulteriori fattori di rischio a un campione di persone con disabilità accumunate da quella (seconda) caratteristica; dall’altro lato, attraverso la conduzione di interviste narrative, sono state raccolte le storie di vita di donne, stranieri e persone LGBT+ con disabilità.

Dalla lettura trasversale delle esperienze e dei dati acquisiti attraverso i questionari, sono emersi gli elementi fattuali, qualitativi e quantitativi, che contribuiscono a profilare le discriminazioni multiple, enfatizzando altresì le lacune normative, politiche e dei servizi che concorrono ad amplificarle. Al termine del progetto, si è giunti alla pubblicazione del Manifesto su La discriminazione delle persone con disabilità. Un deficit di cittadinanza, ove sono confluiti sia i risultati della condivisione e del confronto partecipato nelle Comunità, sia le attività seminariali e le ricerche sul campo effettuate lungo i 18 mesi.

Si ritiene fondamentale che il progetto qui riportato non resti chiuso nel cassetto, sia per quanto ha già realizzato – e può essere condiviso per sensibilizzare imprese e istituzioni nei confronti di un tema che resta ancora (troppo) sottorappresentato – sia per quanto, in prospettiva, può ancora fare nei confronti delle persone, la cui condizione non è stata ivi affrontata, ma che pure vivono discriminazioni multiple su altre basi.

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