BLOG

La Corte di Giustizia estende il diritto all’assegno di natalità e di maternità anche agli stranieri titolari del permesso unico di lavoro

Giurisprudenza - Claudia Carchio - 20 Ottobre 2021

 

 

Con una sentenza dello scorso 2 settembre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha chiarito che i cittadini di Paesi terzi titolari di un permesso unico di lavoro hanno diritto, al pari degli stranieri soggiornanti di lungo periodo, di beneficiare dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità previsti dalla normativa italiana.

La pronuncia trae origine da un contenzioso di vasta portata, insorto tra l’INPS e i giudici di merito, circa l’interpretazione del diritto dell’Unione in materia di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale. Mentre l’Istituto previdenziale rifiutava di riconoscere le due prestazioni assistenziali ad alcuni cittadini di Paesi terzi, legalmente soggiornanti in Italia, titolari di un permesso unico di lavoro e non dello status di soggiornanti di lungo periodo, i giudici hanno, al contrario, spesso riconosciuto tali benefici, dando diretta applicazione al principio di cui all’art. 12, direttiva 2011/98/UE, che prescrive la parità di trattamento tra lavoratori dei Paesi terzi e cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne, tra l’altro, le prestazioni familiari e quelle di maternità e assimilate.

Chiamata a pronunciarsi sulle impugnazioni proposte avverso le decisioni di varie Corti d’Appello, la Corte di Cassazione sottoponeva alla Corte costituzionale alcune questioni di legittimità relative alle disposizioni della l. n. 190/2014 e del d.lgs. n. 151/2001, che istituiscono, rispettivamente, l’assegno di natalità e quello di maternità, subordinandone, tuttavia, il riconoscimento a favore dei soli cittadini stranieri titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo. In tale contesto, la Corte costituzionale sospendeva il procedimento e adiva, in via pregiudiziale, la CGUE.

Il giudice del rinvio, considerato che la normativa nazionale deve essere interpretata conformemente al divieto di discriminazioni arbitrarie e di tutela della maternità e dell’infanzia garantiti dalla Costituzione italiana nonché dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, interrogava la CGUE:

  1. a) sull’interpretazione dell’art. 34 della Carta, al fine di stabilire se l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrino nell’ambito di applicazione di quest’ultimo;
  2. b) sull’eventualità che il diritto derivato – cioè l’art. 12 della direttiva n. 2011/98/UE che richiama il regolamento n. 883/2004 – osti a una normativa nazionale che esclude i cittadini di Paesi terzi, titolari di un permesso unico, dal beneficio di detti assegni.

La CGUE ha fornito una risposta positiva ad entrambi i quesiti. L’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, infatti, garantisce parità di trattamento sia ai cittadini di Stati terzi titolari di un permesso unico di lavoro, sia ai titolari di un permesso di soggiorno per fini diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato membro ospitante e, applicandosi anche ai settori della sicurezza sociale, definiti nel regolamento n. 883/2004, dà espressione concreta al diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale di cui all’art. 34 della Carta.

Il percorso argomentativo della CGUE parte dalla considerazione che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità costituiscono prestazioni rientranti nei settori della sicurezza sociale elencati dal regolamento n. 883/2004.

In tal senso, il primo beneficio integra una “prestazione familiare” ai sensi del regolamento n. 883/2004, in quanto concessa automaticamente ai nuclei familiari che rispondono a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del richiedente, la cui finalità è di alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento di un figlio appena nato o adottato, mediante un contributo pubblico al bilancio familiare.

Parimenti, l’assegno di maternità, concesso o negato tenendo conto, oltre che dell’assenza di un’indennità di maternità connessa a un rapporto di lavoro o allo svolgimento di una libera professione, delle risorse del nucleo di appartenenza della madre sulla base di un criterio obiettivo e definito ex lege, senza che l’autorità competente possa tener conto di altre circostanze personali, si riferisce anch’esso al settore della sicurezza sociale di cui al regolamento n. 883/2004.

Ne consegue che, in ossequio al principio di parità di trattamento di cui all’art. 12 della direttiva 2011/98/UE, tanto l’assegno di natalità, quanto quello di maternità istituiti dalla normativa italiana, devono essere riconosciuti anche ai cittadini di Paesi terzi i titolari di un permesso unico di lavoro.

In conclusione si deve ricordare che la questione sottoposta al vaglio alla CGUE dovrebbe trovare una soluzione a livello normativo con l’adozione dei decreti attuativi della legge delega n. 46/2021, la quale all’art. 2 indica i principi e criteri direttivi in materia di assegno unico e universale per i figli a carico, includendo tra i beneficiari della prestazione anche i cittadini di uno Stato non appartenente all’Unione europea  in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo ovvero del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale.

Potrebbe interessarti anche