Dir. 78/2000: la prima volta della Cassazione
Il principio di non discriminazione rappresenta uno dei pilastri dell’Unione europea. Il principio indica una direzione, ma non precisa quali sono le tappe da percorrere per raggiungere la meta. Sicchè, quando ci troviamo a calarlo nella concretezza dei rapporti giuridici, capita spesso che ci siano incertezze nel seguire il principio. Tale problema, poi, è acuito dall’uso nelle disposizioni normative a espressioni vaghe, quale è «condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro». Si tratta di una sfida impegnativa per l’interprete.
Sulla base di queste premesse, si comprende meglio la ragione per la quale lo sviluppo del diritto antidiscriminatorio europeo si articola su due livelli: da un lato, quello legislativo, attraverso l’emanazione di direttive volte ad armonizzare le legislazioni degli Stati membri; dall’altro lato, quello giurisprudenziale, per mezzo delle sentenze della Corte di giustizia UE che arricchiscono – spesso in modo del tutto creativo – le regole di fonte legislativa.
Tale complessa dinamica tra le fonti del diritto è osservabile anche sul piano nazionale. Ce lo dimostra la decisione della Cassazione n. 28646/2020, che, per la prima volta, si è misurata con il caso di una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale alla luce della disciplina contenuta nella direttiva 78/2000/CE.
Si tratta di un caso che ha avuto una vasta eco nella cronaca e che è stato deciso dopo un rinvio pregiudiziale alla Corte giust. UE, 23.4.2020, causa C-507/18. Il protagonista della vicenda è un noto professore, avvocato e parlamentare, il quale ha dichiarato in una trasmissione televisiva a diffusione nazionale di non avere alcuna intenzione di assumere persone omosessuali nel suo studio professionale.
I temi che hanno occupato prima i giudici di merito e poi la Suprema corte sono numerosi: l’ambito di applicazione della direttiva; il bilanciamento degli interessi in gioco; la legittimazione a ricorrere avverso le dichiarazioni discriminatorie; la configurabilità dell’esercizio della libertà di manifestazione di pensiero come scriminante; il risarcimento del danno non patrimoniale e i criteri per liquidarlo.
L’ordinanza pone alcuni punti fermi che sulla carta sono idonei a favorire lo sviluppo della giurisprudenza italiana in tema di diritto antidiscriminatorio.
Il 12 aprile scorso, ne hanno parlato Francesco Bilotta e Anna Zilli, durante il seminario Dir. 78/2000: la prima volta della Cassazione, che si è svolto nell’ambito del corso I nuovi orientamenti della Cassazione civile, tenuto dal Prof. Dr. Gregor Christandl presso l’Istituto di diritto italiano dell’Università di Innsbruck
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