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Recensione a M. Omizzolo: “Libere per tutte. Il coraggio di lottare per sé e per gli altri”

Letture - Giusy Rosato - 13 Gennaio 2023

Le storie raccolte e raccontate dal sociologo Eurispes Marco Omizzolo nel suo libro Libere per tutte. Il coraggio di lottare per sé e per gli altri (ed. Feltrinelli, 2022) sono espressione chiara e commuovente di quel “passaggio dell’umano all’umano”, come afferma Franco Ferrarotti a proposito del compito della sociologia quando analizza le storie di vita, che ne fa un testo da leggere con attenzione per la complessità e articolazione dei percorsi di vita delle protagoniste, ossia Italia, Manpreet, Anna e Ash. Un libro dove la periferia, il margine, l’esclusione diventano il centro e il centro un panorama diffuso di percorsi e di presenze.

Italia, Manpreet, Anna, Ash sembrano, infatti, come afferma Bauman e Papa Francesco, donne dello scarto, dell’esclusione, della discriminazione che si manifestano sul piano delle relazioni familiari, sociali, lavorative, salariali, culturali, psicologiche per mezzo di una poliedrica dimensione del sovranismo maschilista: quella complessità di piani che informa l’intersezionalità, rappresentata mirabilmente dal quadro Relatività di Maurits Cornelis Escher.

Con una scrittura piana, fluida e scorrevole, l’autore ci accompagna per mano, facendoci entrare nei sentieri tortuosi della vita delle quattro protagoniste, che provano a dar voce, raccontando il loro vissuto, a chi voce ancora non ha. Con grande rispetto e delicatezza, Omizzolo ci porta ad esplorare il loro mondo, un mondo fatto di razzismi, pregiudizi, soprusi, violenze, angherie, devianze, ma in quello stesso mondo il margine diventa spazio per intraprendere percorsi di riscatto, emancipazione e libertà. Il margine diventa, infatti, una pagina bianca per scrivere quattro nuove storie di rinascita, con l’inchiostro indelebile del coraggio, della lotta, della speranza e della fiducia nel cambiamento. Una lettura appassionata e appassionante. Ancora una volta il sociologo pontino, grande esperto di osservazione partecipata dei fenomeni che indaga, studia, vive, approfondisce e sviscera, dimostra di saper armonizzare con grande maestria lo scrupolo e il rigore dell’indagine e della ricerca sociologica con l’empatia per l’umano e la sua complessità.

E proprio accompagnati dal suo racconto vivo e vivificante, incontriamo donne stanche, provate, spossate, affaticate e deluse.

Italia, somala di origine ma italiana per appartenenza, a partire dalla scelta di un nome parlante, che voleva essere nei sogni della madre di buon auspicio, immaginando un futuro diverso dal suo per la propria figlia, è stanca di parole che non si tramutano in azioni per far saltare il sistema dei potenti e degli oppressori che soverchia gli umili e gli oppressi. Il possesso di una laurea in Scienze politiche, la singolare vivacità culturale e la spiccata curiosità intellettuale che la animano non sono elementi sufficienti per  far sì che le sue origini non pregiudichino un progetto di vita altro, consono alla sua grandezza umana, culturale e professionale. Il sogno di diventare una giornalista si infrange miseramente di fronte a porte serrate con i catenacci del preconcetto, del capitalismo predatorio, del razzismo e della discriminazione. Le sue mani rugose, consumate, screpolate testimoniano un lavoro umiliante, alienante, usurante e la maglietta rossa che indossa con su impresso, ben evidente, il nome ne imbriglia la personalità, in un assetto militaresco e verticale, tra i manipoli di operaie sfruttate in un’impresa di pulizie nella città di Milano, la capitale finanziaria italiana e una delle maggiori capitali economiche europee! I mali, la fatica, la stanchezza, sia fisica che morale, che Italia avverte vengono tuttavia ben celati ai capi grazie alla sua alta dignità: loro devono sapere che è infaticabile.

Manpreet, dal canto suo, è una bracciante indiana impiegata in un’azienda dal fatturato milionario dell’agro pontino, stanca di prendere calci e pugni, insieme ai suoi quattro figli, dal marito alcolizzato, drogato, violento. Mangal, infatti, è un violento in un mondo maschilista e patriarcale, che oggettivizza la donna facendone oggetto delle proprie frustrazioni e dipendenze. Un grave infortunio sul lavoro mette seriamente a repentaglio la vita di Manpreet: la lacerazione fisica e interiore diventano, però, il kairòs, l’occasione, il momento opportuno per prendere coscienza della necessità di una rivolta a questo giogo, ormai divenuto intollerabile.

E Anna? Anna è ricca, avvenente, colta, ma a tanta prosperità materiale non corrispondono pari felicità e benessere interiore. Questo mondo apparentemente idilliaco cela, in realtà, un profondo malessere e una grande fragilità: dipendenza dal gioco d’azzardo patologico, alcolismo, fino al baratro della prostituzione nei più squallidi bar delle periferie romane. Un corpo diventato mero oggetto di cui godere, in preda alla solitudine più avvilente e umiliante. Ad un certo punto, però, durante la pandemia, che per molti di noi è stata un periodo disorientante, in alcuni casi addirittura tragico, Anna ha incontrato le radici sulla sua strada ed è stata così costretta a rallentare, perché proprio in quel momento, mentre la macchina iniziava a sobbalzare, si è resa conto che stava correndo troppo e rischiava di perdere il controllo e andare fuori strada. Allora ha rallentato ed è tornata a guidare con entrambe le mani sul volante: ha ripreso in mano il controllo della sua vita e si è guardata dentro, dimostrando di essere ben altro rispetto a quell’esperienza deviante.

Italia, Manpreet e Anna sono donne prostrate, sfiancate, stremate, ma nel contempo audaci, coraggiose, rese forti proprio dalle loro fragilità, pronte a lottare per sé e per gli altri, in primis per figli e nipoti. Italia decide di andare in Francia anche per questo, per insegnare alle nipoti che nella vita la nostra dignità vale più di ogni fatica per difenderla.

Benché sfruttata, maltrattata, picchiata dal marito, Manpreet sta insegnando ai suoi bambini che alzare la testa è sempre una scelta possibile. Non sarà la violenza di un uomo o di un sistema a vincere, ma la giustizia cercata da una donna immigrata povera, sola, emarginata che ha deciso di non accettare il suo destino, ma di cambiarlo per senso di dignità e amore dei suoi figli.

Anna, a sua volta, è convinta che il maschilismo vada superato e che spetti alle donne-madri come lei spezzare queste catene. Parla molto con suo figlio, soprattutto la sera, quando la aiuta a sistemare casa: gli parla del suo lavoro, della vita, di quanto sia importante studiare e rispettare le persone. Vuole che sia diverso dal padre e un giorno gli spiegherà cosa ha combinato quell’uomo che lui ancora considera un eroe invincibile.

Italia, Manpreet, Anna hanno la voce dell’usignolo; datori di lavoro, mariti, padroni hanno gli artigli dello sparviero. Tuttavia, non sempre perde chi è più debole né sempre chi perde è debole. Infatti, a volte si rivela essere il migliore e riesce a vincere con altri mezzi. Come per le protagoniste di Libere per tutte, da luogo di subordinazione, il margine può diventare terreno di lotta, di riaffermazione, di nuova appartenenza. Si può ripartire per cambiare lo stato delle cose – lo sparviero non deve necessariamente uccidere le sue prede, in nome della legge del più forte! – e costruire così percorsi di affrancamento, anche da se stessi, fino alla conquista di una nuova vita libera e liberante.

Se una chimerica utopia riesce a tramutarsi in realtà, allora come dalla siepe di Leopardi si può spingere lo sguardo oltre il “questo” dell’angoscia, dell’inquietudine, del male sofferto, della sofferenza patita, del dolore attraversato verso il “quello” di interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete, con la nuova Aurora apparsa a Italia, Manpreet, Anna … e Ash.

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